Da Il Manifesto del 6 febbraio
Il libro di Isaia Sales, Storia dell’Italia mafiosa, (Rubbettino, pp. 444, euro 19,50) è di grande interesse e dovrebbe suscitare un serio dibattito sullo stato di salute del nostro paese. Mafia e corruzione sono un male esterno che ogni tanto ci colpisce oppure la mafia è intrinseca alla nostra storia, come già fa intendere il titolo del libro e come è puntualmente confermata nelle più di 440 pagine del libro e da ben 44 pagine di rinvii ad altri studi e documenti. E non va dimenticato che Sales è stato un importante dirigente del Pci e autore di altri apprezzati libri sul nostro Mezzogiorno.
In sostanza la mafia è intrinseca alla vita sociale e politica non solo del Mezzogiorno, da dove avrebbe preso origine con i nomi di mafia, camorra e n’drangheta, ma di tutto il paese. E la sua presenza non si limita alle elezioni, specie amministrative, nelle quali ci sono anche candidati mafiosi. Adesso con la crisi dei partiti, il potere mafioso è fortemente in crescita: la mafia si intreccia con la politica e quando questa (come attualmente) è debole quasi la sostituisce.
Quando tramonta la presenza degli interessi generali, anche tra loro opposti, si apre un grande spazio per gli interessi particolari e vale ricordare che il particolare nella storia d’Italia ha pesato e pesa ancora. Vediamo tutti nei paesi dove abitiamo, come, in tempo di elezioni, i candidati spesso più che cercare il consenso del popolo, cercano quello dei boss locali. Tutto questo si svolge sotto i nostri occhi, ma ci scandalizza sempre meno e col procedere dell’attuale stagione diventa, ai nostri occhi, sempre più normale.
Nelle fasi calde della politica e della cultura la mafia si indebolisce e, quasi a dirci che la vera lotta alla mafia non si fa tanto con la polizia, ma con la forza degli ideali, quando prevale il convincimento che possiamo migliorare la nostra vita e quella degli altri, quando ci sono speranze (quelle che mancano in questa fase storica). Insomma il punto sul quale Sales insiste (e che io assolutamente condivido) è che la mafia (che Sales fa coincidere con la storia d’Italia) non è riducibile a pura criminalità, ha radici nella situazione sociale, politica e culturale del territorio nel quale cresce e io do grande importanza al molo delle speranze (tutto il contrario del detto: chi di speranze vive, disperato muore) che hanno mosso grandi movimenti di crescita culturale, sociale e politica.
Fuori di questa impostazione non si capirebbe niente della mafia, ridurla a fatto puramente delinquenziale non ci farebbe capire niente. «La storia delle mafie – scrive Sales – è in sostanza il disvelamento della funzione debole dello Stato italiano nell’impatto con un territorio che avrebbe avuto bisogno, per liberarsi delle forme violente prestatuali, di un diverso radicamento dello Stato e della rottura radicale con quelle classi dirigenti alleate della mafia. Perciò la storia della mafia mette a nudo la qualità storica dell’agire politico, a Roma e a Milano, non solo a Palermo, a Napoli o a Reggio Calabria».
Insomma, forse esagero, ma l’insegnamento di Sales è: se vuoi capire la storia d’Italia, studia un po’ la mafia che è anche una banalità del nostro paese come ci dice la provocatoria illustrazione di copertina, un domestico gattino che sul domestico pavimento di casa giocherella con un revolver.
di Valentino Parlato
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