Claudio, Cavaliere della Calabria mediana e giornalista sociologo di gran vaglia, dopo aver dato il suo contributo alla narrazione delle donne calabre nell’Ape furibonda, ha scritto un aureo libretto al quale non possiamo non augurare una grande fortuna.
Un libro che a tanti contadini calabresi, uccisi dalle «forze dell’ordine» in età giolittiana e post-giolittiana, ha restituito dignità personale (un nome, almeno il nome di ognuno di essi) e collettiva e facendoli uscire dalle condizioni di «mal sepoltura» nella quale erano stati lasciati dalla stampa asservita e immonda, dagli storici distratti o autocensurati e dalle torme di poeti abituati ad innocue rime baciate che, a differenza della tempestiva indignazione di Sebastiano Satta per i coevi morti di Buggerru, neanche si sono accorti di tanta sofferenza e di tanto dolore.
Per intendere a pieno il significato del libro occorre andare dentro ed oltre il sottotitolo: infatti le stragi raccontate vanno concentrate non nel ventennio di riferimento ma nei tre anni che vanno dal 24 maggio 1906 al 9 novembre 1909 e poi dal 20 febbraio 1921 al 21 settembre 1922; cosa a sé sembra essere l’eccidio del 2 agosto 1925 a San Giovanni in Fiore.
In tutto 28 morti, di cui 11 donne, e quasi duecento feriti: ma le cifre vanno ulteriormente articolate. Stragi di età giolittiana (1906-1909): morti 17 di cui 7 donne, feriti 67; stragi del I Dopoguerra: morti 6 di cui 4 donne, feriti 103; strage di S. Giovanni in Fiore.
In ogni caso una media di cinque morti e di quaranta feriti per ogni anno.
Ma vediamoli questi morti e questi feriti:
– strage di Benestare (RC), giovedì 24 maggio 1906, ascensione di Nostro Signore: due morti, Vincenzo Graziano di 28 anni e Giuseppe Procurato di 51, sei feriti gravi, 20 feriti leggeri, di cui un ragazzo di sette ed uno di 14 anni (p. 28);
– strage di Firmo (CS), mercoledì 13 febbraio 1907, Ceneri, inizio di Quaresima: muore Michele di Marco, 15 anni, «tre colpi, tutti penetrati nella parte posteriore del corpo; feriti tredici, quattro donne, un fanciullo e otto uomini. Tra essi la madre di Michele, due palle nella schiena mentre fa scudo al figlio ucciso (p. 35);
– strage di Olivadi (CZ), domenica 21 giugno 1908, Solstizio d’estate. Morti: Anna Gallo, 24 anni, incinta di sei mesi; Giuseppe Aiello, 18 anni, muratore; Rocco Colabraro, 74 anni, contadino; Giuseppe Cozzella, contadino. Feriti: Adelina Frustaglia, anni 7, claudicante per tutta la vita; Domenico Fusto anni 11; Paola Gareri, anni 14, ferita alla gamba, arto amputato; Varano Maria, 25 anni, ferita alla gola, indebolimento permanente dell’organo (p. 47);
– strage di Vallelonga (CZ); lunedì 5 aprile 1909. Morti: Maria Rosa De Caria «è in mano alla mamma quando viene uccisa. Un colpo al collo e uno all’apice del polmone che interessa il midollo spinale …» (P. 56), Maria Rosa Nesci, contadina, un solo colpo al collo che recide la carotide; Rosa Bertucci 24 anni, … morirà di ferita al polmone»(ib.); Domenico Cosentino, «lesione parte frontale del torace» e «Domenico Pileggi, …, colpi alla testa e al torace» (p. 56). Feriti una decina.
– Strage di Sinopoli (RC), domenica 2 maggio 1909. Sei feriti e quattro morti: «Bruno Romano, contadino di 43 anni, viene colpito ad oltre cento metri di distanza mentre faceva i bisogni per terra in mancanza di latrine Viene assassinato dalla guardia municipale … Uccisi dai militi Domenico Carbone, 50 anni contadino, Mariano Corso, 45 anni mulattiere, Antonio Romano 72 anni contadino»(p. 66).
– Strage di Plataci (CS), martedì 9 novembre 1909, Festa Madonna Santa Maria di Costantinopoli. Morti: «Armenia Dramisino, 30 anni; Maddalena Bellusci, 50 anni; Barbara Brunetti, 50 anni; … Basilio De Cesari, … giovane» … «quattordici feriti»(pp. 74-75).
– Strage di Aiello Calabro (CS), domenica 20 febbraio 1921. «… due morti, Vincenzo Lepore 50 anni, padre di sei figli, e Vincenzo Guercio, 22 anni, entrambi contadini» e quattro feriti.
– Strage di san Calogero (CZ). Domenica 2 aprile 1922. Un morto, Pasquale Loiacono contadino, e sette feriti.
– Strage di Casignana (RC), giovedì 21 settembre 1922. Morti: «Pasquale Micchia, 30 anni, vicesindaco socialista, … 1 figlio di quattro mesi … Girolamo Panetta, 35 anni, e Rosario , 52 anni, entrambi contadini. I loro corpi devastati dalla potenza di penetrazione dei colpi dei fucili … Il sindaco, il medico Francesco Ceravolo … Rimane ferito gravemente, resterà claudicante. Altri dodici contadini ricevono ferite gravi tra cui cinque sono donne. Una ottantina quelli feriti più leggermente» (p. 106).
– Strage di San Giovanni in Fiore, domenica 2 agosto 1925. «Ventitré persone a terra … Restano uccise Filomena Marra, contadina, 27 anni, incinta all’ottavo mese; Marianna Mascaro, contadina di 70 anni, Barbara Veltri, contadina, 23 anni; Antonietta Silletta, contadina, 68 anni; Saverio Basile, fabbro, 33 anni». (p. 116).
Quasi tutte le stragi hanno come teatro le piazze e i luoghi intorno ai municipi «i cui amministratori sono eletti da poche decine di votanti» e «quasi sempre rafforzano i meccanismi di discordia e acuiscono i conflitti sociali portando, un passo dopo l’altro, anche a sanguinose collisioni» (p. 52-53); obiettivo delle vampate di lotta popolare sono le imposte locali: «perché il sistema tributario dei comuni ha tali margini di discrezionalità che i padroni dei Municipi hanno col dazio, col focatico e colla tassa sul bestiame, un’arma micidiale, da riversare sui contadini quasi tutto l’onere delle imposte»(p. 53).
Elemento comune a tutte le stragi è l’impunità per chi ha sparato e soprattutto per chi aveva la responsabilità della condotta dei carabinieri: tutti i procedimenti penali contro soggetti dell’arma si conclusero con sentenze di «non doversi procedere» perché venne riconosciuto agli assassini lo «stato di necessità» giustificato dalle folle armate in tumulto e da spari fantasma contro le forze dell’ordine che, al massimo, … si fecero refertare qualche escoriazione.
E le unanimi assoluzioni erano state preparate dalle versioni dei fatti apparse sulla stampa nazionale: dall’immarcescibile agenzia Stefani, ai maggiori quotidiani nazionali che l’autore ha sfogliato, rimanendone «impressionato» (p. 120) e che costituiscono la parte più consistente, quasi 150 titoli, della Bibliografia.
Colpisce il fatto che anche «L’Avanti», il quotidiano più schierato dalla parte dei lavoratori, pur ponendo nel dovuto rilievo gli avvenimenti, finisce poi per inquadrarli come fenomeni di arretratezza organizzativa, di gente che pensa sia produttivo assaltare i municipi mentre ben altre sono le forme di lotta da adottare; da qui la sconsolata e teatrale, ma sacrosanta, invettiva dell’autore: «E che cazzo! Non vi sapete neanche fare ammazzare! No, non lo sapete fare! E trovatevi dei condottieri all’altezza di questa Africa che siete.» (p. 57).
Terminata l’onesta recensione sarebbe, però, indispensabile interpretare storicamente un lavoro insorto con altre intenzioni (si leggano le pagine 9-12 per averne idea adeguata) ma che solleva molte questioni che gli storici di mestiere non hanno nemmeno provato a riassumere: l’autore di queste note si riserva di tornarci sopra.
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