Rosa Siraci, appena laureata a Perugia, torna in Calabria. Sul treno, una signora, esaminando scrupolosamente la sua maglia, «“Signorì, tenete la maglia arrovescio!” mi disse, sicura di essere nel giusto. “Signò, è moda…” la rassicurai sorridendo. La donna tacque per un istante, guardò fuori dal finestrino la parata di panni al sole che annunciavano Napoli, poi si preparò a scendere domandandomi dove fossi diretta. “Lamezia Terme”, risposi piano. “Signorì, giratev’a maglia, ch’a la mezia ‘a moda nn’a capiscono…” (…) Subito mi sfilai il maglione: le cuciture ritrovarono il loro posto, e io il mio. E quando ci si rassegna alla verità, si riconosce immediatamente il proprio posto, e non se ne pretende uno diverso, perché l’angolino che ci spetta è tutto il paradiso di cui siamo capaci sulla terra. In cielo magari le cose cambiano. (…) In quel preciso momento sentii d’amare il Sud perché ti lascia campare senza chiederti nulla, come una melenzana viola nei campi rossi del tramonto.»
Il cielo comincia dal basso di Sonia Serazzi, appena pubblicato da Rubbettino, è un romanzo-diario. La protagonista, Rosa Sirace, appunta «sull’agenda la vita che faccio. E mi piace riempire con sopra il numero del giorno: non ho tutto lo spazio e tutto il tempo, quindi è giusta una carta che contando me lo ricorda.»
Un versetto della Bibbia introduce ognuna di queste pagine, in cui scorre una vita senza particolari eventi, concentrata in una casa dove il freddo è pungente d’inverno e per un compleanno si cena con uova sode e patate bollite e, per dolce, una crostata con la marmellata di albicocche, con pochi legami: la nonna Antonia Cristallo, suo padre Guido, che Rosa chiama Visconte di Virolea, prima carabiniere, poi operaio, la madre, Nicca Fiori, soprannominata Baronessa di Babbumannu, qualche amica della nonna, il vecchio prete.
A Rosa danno qualche giorno di supplenza in un liceo, ma «alla fine del mio primo giorno da insegnante, sapevo che quella non era la mia strada» e Raffaele, il suo «quasi fidanzato» la lascia per una ragazza bionda: «Anch’io sono senza l’amore, e per me l’amore è abitare negli occhi di qualcuno e capire che puoi farci il nido per sempre, e che nessuno mai ti distruggerà il rifugio, e che non ti ridurrai a sbattere le ali disperata sotto la grandine, mentre un’altra passerotta ti scaccia dal tiepido che tu hai costruito strappandoti le piume più soffici da dentro, e ficcandole dentro un incrocio di legnetti e fili d’erba piegati col becco.»
Tra una passeggiata con qualche amico d’infanzia, una tinta fatta ai capelli della madre, una crema antirughe con cui accarezzarsi, una visita all’ospizio, mentre gli anni scorrono, Rosa Siraci decide di «imitare le api che ogni anno credono nei fiori e li aspettano con pazienza. E i fiori arrivano, nei campi e sugli alberi, anche se capita che una notte di gelo allontani per sempre qualche bocciolo dal frutto, eppure il bocciolo non si arrende, solo rinuncia alla polpa dolce e resiste con tutti i petali che ha, e si contenta d’essere al mondo finché può. Poi viene il momento in cui il fiore dondola sul ramo, e un bimbo col naso all’insù lo sorprende a sfogliarsi per aria, e sorride perché quella fine gli pare un regalo di coriandoli dal cielo. Ecco, così ho deciso di vivere da quando un dottore mi ha detto che sono sterile: fiorisco senza frutto in mezzo al vento.»
È una Calabria lucente di novità, quella di Sonia Serazzi. Una scrittura fatta di pennellate precise, una serie quasi di aforismi o di annotazioni diaristiche che fanno la storia di una persona e di una piccola comunità. Nessun riferimento ai miti antichi, alla ‘ndrangheta, alla voglia di riscatto di una realtà marginale: ma, piuttosto, il cogliere le pietruzze luminose di questa stessa marginalità, l’estrarre dalla lamina di ferro della solitudine e del dolore la dolcezza infinita di chi è sempre stato povero ma mai tamarro giacché «il tamarro è uno che la terra gli basta, il povero invece alza gli occhi in cerca d’azzurro.» E ama ogni semplice cosa della terra perché «sulla terra ci sono le nespole coi noccioli lisci da sputare nel piatto, e le ginestre fiorite, e le cime di rapa soffritte con l’aglio, e il sole dopo la centrifuga della lavatrice, e le carezze della moglie per addormentarlo.»
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