Da archiviostorico.info del 15 marzo
IL LIBRO – Un breve ciclo di lezioni affronta il tema delle basi antropoligiche da cui traggono origine le categorie del «politico» facendo diretto riferimento a testi classici di autori – scrittori, filosofi, scienziati sociali – che hanno a vario titolo avviato nel corso del Novecento una seria critica dai presupposti antropologici della civiltà europea. L’analisi si concentra su quattro nuclei tematici fondamentali, rappresentati dai concetti di «politico», di massa, di aggressività, di violenza mimetica, registrando le voci di quei teorici – tra cui Carl Schmitt, Elias Canetti, Konrad Lorenz, René Girard – che hanno avuto la forza, oltre che il coraggio intellettuale, di tematizzare esplicitamente il «negativo» – il cosidetto «legno storto» – connaturato nella dimensione umana.
DAL TESTO – “Come ogni analisi realistica riconosce, la comunità politica ha sempre definito il concetto di appartenenza attraverso quello di esclusione. Si tratta di un meccanismo che trova le sue origini nell’etologia: avviene in sostanza che la comunità politica separi coloro che si sentono tra loro uniti da chi è avvertito come estraneo e può di conseguenza essere emarginato o espulso dall’unità raggiunta. Sarebbe allora lo stesso processo di formazione della comunità, e non fattori esogeni, a distinguere i gruppi sociali isolandoli reciprocamente. Se all’interno di questi gruppi si prevede infatti armonia, uguaglianza e fraternità, all’esterno di essi – in forza di un procedimento antropologicamente necessitato, da controllare e certamente da «ridurre» il più possibile nel senso della ragionevolezza – si costruiscono limiti e trincee. Gli «amici» si contrappongono così agli «estranei-nemici» e la coesione interna si genera e si rafforza nel contrasto con l’esterno-estraneo-nemico.
“Vi è in questa ricostruzione qualcosa di inesorabile, e questo qualcosa può essere almeno in parte chiarito da un’indagine realistica sulle radici antropologiche del «politico», tesa a individuare le principali costanti dell’accadere politico. Prevenendo facili obiezioni, si può senz’altro affermare che tali «costanti» sicuramente esistono e, per quanto legate di volta in volta a contesti storici e a livelli di civiltà determinati, fanno capo all’idea di «natura umana». Certamente, non una natura umana distillata da procedimenti di astrazione e di forzata intellettualizzazione dei dati dell’esperienza (questo era il vero punto debole del giusnaturalismo razionalistico tradizionale), bensì ricavabile da quelle che si potrebbero chiamare le leggi della corporeità, ossia le condizioni spazio-temporali in cui l’individuo e il gruppo sociale concretamente, direi quasi ontologicamente, si situa. L’antropologia politica empirica sembrerebbe in questo caso aprirsi a una sorta di – ben più solida – ontologia del «politico», sviluppando tracce di indagine fenomenologica (note per la verità già da secoli nell’ambito del sapere europeo, anche se non sempre esplicitate in forma sufficientemente chiara) su quelle che sono le peculiarità dell’azione umana.”
di Sabrina Giannone
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- archiviostorico.info 2016.03.15
Le radici antropologiche del «politico»
di Sabrina Giannone