Da La Gazzetta del Sud del 15 giugno
Parte oggi la sesta edizione di “Trame”, festival dei libri sulle mafie, in programma a Lamezia Terme fino a domenica. Tra i protagonisti della prima giornata, lo storico inglese John Dickie, docente di Studi italiani all’University College di Londra e autore di importanti libri sulla mafia, impegnato in momenti diversi del programma. Con lui abbiamo parlato di mafie.
Nel suo ultimo libro, “Mafia Republic”, lei si sofferma sulla zona grigia della criminalità organizzata. Come la definirebbe?
«È una metafora per descrivere quella parte del sistema mafioso che ‘appartiene al mondo dell’economia apparentemente legale, alle istituzioni, alla politica, e alla società. Sottolineo che non si tratta né di una novità né di un nuovo modo di fare il mafioso».
Già nel suo libro “Onorate società. L’ascesa della mafia, della camorra e della ‘ndrangheta” (2012) aveva chiarito differenze e caratteristiche comuni delle tre organizzazioni. Oggi quali sono le peculiarità di ciascuna?
«La camorra non esiste come organizzazione criminale unita: si tratta di un universo frammentato e internamente diversificato. Anche per questo la malavita campana registra un numero più alto di omicidi delle altre realtà mafiose: dove non c’è coordinamento è più probabile il conflitto sia tra bande sia all’interno delle singole bande. Molti dei clan della camorra sono a base familistica. Sia la mafia siciliana sia la ‘ndrangheta calabrese sono invece “fratellanze” criminali, che usano regole, riti, simboli e miti per forgiare l’identità degli affiliati e come strumenti di potere interno dei boss. Solo in alcuni momenti della sua storia, per esempio negli anni 70, il sistema camorristico è diventato più centralizzato. Parliamo del periodo della Nuova Camorra Organizzata di Cutolo. Però questa fase non è stata duratura e inoltre è attribuibile in parte all’influenza esterna di Cosa Nostra e ‘ndrangheta. Grazie al loro modo di gestire il rapporto tra fratellanza criminale da una parte e legami di parentela dall’altra, Cosa Nostra e Ndrangheta sono riuscite a garantirsi una continuità storica maggiore rispetto alla camorra».
Secondo lei, in questo momento qual è l’organizzazione più potente delle tre e perché?
«La ‘ndrangheta, grazie una serie di fattori: le risorse, il controllo del territorio interno e la diffusione di colonie in altre parti d’Italia e in altri Paesì. Basta sfogliare, per capirlo, i rapporti semestrali della Dia, disponibili on line».
A Lamezia lei presenterà anche il suo film “Chiesa Nostra” e parlerà inoltre con l’autore del libro “Avarizia” di Emiliano Fittipaldi. Il Vaticano è un altro argomento “caldo” per lei: quali i nodi più gravi?
«Il problema fondamentale è di natura ideologica. I mafiosi continuano a spacciarsi per credenti, a fare i loro matrimoni dinastici in chiesa, a nascondersi dietro versioni blasfeme dei simboli e dei riti della religione cattolica. La Chiesa non fa abbastanza per negare ai mafiosi questo potente strumento di legittimazione. Bisognerebbe dirlo più chiaramente: i mafiosi sono scomunicati e rimarranno esclusi dalla messa finché non cominceranno a collaborare con le autorità. Lo stesso criterio dovrebbe valere per le donne di mafia, anche se nel loro caso è più difficile individuare i singoli livelli di responsabilità per il rafforzamento dell’organizzazione criminale (per esempio, trasmettendo valori mafiosi ai figli, organizzando matrimoni dinastici, ecc.)»
Infine, in questa giornata inaugurale si occuperà anche dei briganti Musolino e Croceo, protagonisti dei libri di Adolfo Rossi (del 1913) ed Ettore Cinnella. Personaggi di altri tempi o riconosce una loro influenza nella storia di oggi?
«Nel caso di Musolino, sì. Lo si spaccia tutt’ora per un Robin Hood calabrese. Con Fabio Truzzolillo ho pubblicato una serie di affascinanti rapporti di un giornalista d’assalto d’inizio Novecento, Adolfo Rossi: dimostrano, con gli altri documenti che abbiamo sintetizzato nell’ introduzione al libro (“Nel regno di Musolino”, Rubbettino) che il cosiddetto brigante Musolino, eroe di tante favole e canzoni folk, non era altro che un killer della ‘ndrangheta».
di Vincenzo Bonaventura
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