Da soveratoweb.com del 13 aprile
Forse perché sono di Badolato (paese che dista una ventina di chilometri da Riace); forse perché ho vissuto l’epopea delle tante donne che (negli anni 50 – 60 e 70) venivano richieste in sposa da agricoltori del centro-nord Italia; forse perché sto vivendo con particolare interesse ed emozione le attuali migrazioni verso l’Europa e i Paesi ricchi ed agiati … sta di fatto che quella del libro “Ti ho vista che ridevi” è stata una lettura davvero assai esaltante, come da parecchio tempo non mi accadeva. Edito da Rubbettino (Soveria Mannelli, aprile 2015), tale libro condensa in 216 pagine un romanzo che si legge come un saggio sociologico, anzi come la cronaca quasi giornalistica (forse anche diaristica) della ricerca della “mamma perduta” da parte proprio di sedicente giornalista dell’Ansa di Catanzaro, nativo di Riace.
La vicenda narrata è quanto mai verosimile, poiché i suoi dettagli possono appartenere ed appartengono, nella sostanza (anche se non proprio nello specifico), alla storia di quasi tutti i nostri paesi meridionali, dove i giovani allevatori e contadini del centro-nord Italia venivano a cercare (tramite intermediari) le donne da sposare, da fare lavorare nelle loro terre e nelle loro stalle, ma soprattutto capaci di fare figli e di dare così un futuro demografico a quei territori che l’industrializzazione aveva spopolato in particolare di giovani donne attratte dalle città e non più disposte a fare lavori troppo umili ed avere ruoli antichi.
“Ci salvano gli altri, sempre” esordisce nella sua arguta prefazione Carlo Petrini, l’inventore di “Slow Food” e di altre acrobazie socio-economiche di successo internazionale che hanno fatto delle Langhe (territorio della provincia di Cuneo) un modello di sviluppo legato soprattutto alla qualità eno-gastronomica da esportazione. Il libro dimostra che, senza ombra di dubbio, tale sviluppo quasi miracoloso delle Langhe, realizzato in una generazione soltanto, è anche opera delle “calabrotte” (come venivano chiamate le donne calabresi richiamate in servizio permanente effettivo nell’esercito delle lavoratrici e delle riproduttrici di quella società rurale che però ha saputo usare bene pure la modernità).
Poco importa sapere se chi figura come autore del libro “Lou Palanca” è uno pseudonimo simbolico che si sono dati coloro che firmano di fatto un tale ottimo lavoro collettivo e cioè, Fabio Cuzzola, Valerio De Nardi, Nicola Fiorita, Maura Ranieri e Monica Sperabene. Queste cinque persone hanno saputo coniugare il presente (fatto di una Riace, una Calabria, un Sud Italia e un Sud Europa diventati approdo di una immigrazione epocale, quale forse non accadeva dai tempi della guerra di Troia, cioè di quasi 3500 anni fa, quando quei profughi hanno fondato nuovi popoli e nuove città e, remotamente, anche Roma “caput mundi”), con il passato (fatto di miseria, di vessazioni, di lotte contadine) e il futuro meticciato dove, però, l’anima sorprende tutti con le sue emozioni, con storie di sofferenza e brama di una vita degna di essere vissuta nei valori che, bene o male, tutti i popoli condividono, pur con culture e tradizioni diverse.
Così, il titolo stesso del libro “Ti ho vista che ridevi” supera (come la storia qui raccontata) il dramma, persino la tragedia da cui nasce sempre la speranza, quella salvifica, oggi rappresentata anche da Riace. La nuova Europa passa ancora dalla Calabria, come nel corso dei millenni e dei profughi che su queste coste joniche sono sbarcati. Recentemente lo ha riconosciuto pure la prestigiosa rivista U.S.A. “Fortune” che ha inserito il sindaco di Riace, il tenace Domenico Lucano, modello di accoglienza, tra gli uomini più significativi del mondo, così come lo aveva riconosciuto qualche anno fa il grande regista Wim Wenders con il film “Il volo” che ha voluto dare uno spazio pure a Badolato, il primo paese che nel 1997 ha aperto le proprie case ai profughi kurdi tanto da essere rinominato “Kurdolato” dalla stampa internazionale.
di Domenico Lanciano
clicca qui per acquistare il volume con il 15% di sconto