Da Sipario del 1 maggio
Come il cinema abbia raccontato l’epoca e i decenni successivi alla Prima Grande Guerra descrivendone euforie ed orrori, lo rievoca Giuseppe Ghigi, studioso esperto di filmografie belliche e aggiornatissimo sulla pubblicistica in argomento. Non ne fa un saggio cronologico, ma distende una pluralità di prospettive con ampi agganci storici e culturali.
Anzitutto, quell’eccitazione di militari e civili “ebbri di rose e miopi” che precipita nel raggelante risveglio di una “critica delle armi”. Poi, la guerra come iniziatica esperienza formativa, tra cameratismo e dura disciplina. Quindi, via via, “cecità mentale” che si fa “cecità visiva”, in Francia per una iconografia cristallizzata sulla lontana guerra del 1870, negli USA per una anacronistica visività eroica che risale alla Guerra di Secessione, in Italia con una “impronta deamicisiana, risorgimentale, melodrammatica”. Ecco, tra i “punti ciechi” cavalli “ormai arma sorpassata”, sciabole e baionette “codici del passato”, impreparazione e miopìe di comandi militari e abbigliamenti ottocenteschi, “scarsa appetibilità cinematografica” delle “zone morte”, sia pur con un “gioco di specchi” tra documenti (veri) e finzioni (false).
Perciò, salvo qualche ripresa isolata, è “polverizzazione della battaglia reale” con una rappresentazione “cubista” degli scontri, sempre con rispetto dei due livelli diegetici, in collettivo di scena eroe attore singolo, magari anche al femminile, di contro a stereotipi cliché del nemico. Soprattutto nel dopoguerra,specie da Hollywood, sono film che finiscono per prediligere “un episodio nella vita individuale, familiare, una parentesi orribile che si ricompone in un lieto fine”, dentro una dolente elaborazione del lutto trattata con un certa misura e sentimentalmistura per non perdere incassi deludendo evasive attese del pubblico.
di Alberto Pesce
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