Da La Domenica del Sole 24 Ore del 20 luglio
Le banche non sono molto popolari di questi tempi. Non lo sono in verità mai state: il Purgatorio fu “inventato”, secondo Le Goff, nella seconda metà del XII secolo anche per offrire ai banchieri camuffati da cambiavalute una scappatoia dal fuoco eterno. Ma è indubbio che la crisi iniziata nel 2008 abbia ridotto la popolarità di banche e banchieri a livelli che non si registravano da almeno tre generazioni. Un po’ per la connivenza di molti con attività fraudolente, come la manipolazione dei tassi libor, che in dono sulla vita quotidiana di tutti noi, un po’ per la forse inevitabile, ma non per questo popolare, riduzione dei flussi dí credito a imprese e famiglie. È dunque interessante capire come il presidente dell’associazione delle banche italiane veda «il rapporto tra le banche, le imprese e i cittadini» (pagina 5).
Il libro di Antonio Patuelli ha il taglio di un manifesto fondato su una visione organicista della società nella quale ciascuno dipende da tutti gli altri: «là dove stanno male le imprese, stanno male le banche, là dove imprese e banche soffrono, ciò sarà patito anche da cittadini, famiglie, persone». Patuelli immagina e propone una società olistica, armonica, lontana dall’atomismo individualista. Una visione che per molti versi riflette quella einaudiana, per altri richiama la dottrina sociale della Chiesa. In questa cornice sono affrontati, in succinti capitoli, molti dei temi vivi e urgenti della faticosa uscita dalla più grave crisi della storia italiana: la genesi della crisi stessa, il rapporto delle banche con il resto della società, l’euro, l’etica dell’economia, l’educazione. Alcuni excursus storici sono interpolati a più riprese quando paiono utili a illustrare alcuni dei punti in discussione. Tra i vari spunti di riflessione, la funzione ricoperta dall’autore porta inevitabilmente il lettore a focalizzarsi sulla funzione creditizia.
Il comparto bancario italiano, radicalmente riformato e privatizzato dal testo unico del 1993, è tra tutti «quello che più ha costruito profondi cambiamenti, realizzando mercati di qualità che non temono, ma sollecitano l’Unione Bancaria europea». È dunque con orgoglio che il presidente dei banchieri chiede «più rispetto» per le banche in Italia e per le stesse Fondazioni di origine bancaria che hanno svolto un ruolo esemplare di «investitori istituzionali stabili e dii lunga prospettiva». Le banche italiane hanno ridotto drasticainente i propri costi e rafforzato il capitale, se hanno un problema è quello dii essere «scarsamente redditizie».
Dalla crisi, secondo Patuelli, l’Italia potrà uscire riducendo il debito pubblico ma, soprattutto, facendo leva sulle ricchezze nascoste nelle grandi differenze tra i suoi territori, leva per politiche di sviluppo in un’«economia sempre più aperta». Anche le banche devono rafforzare ulteriormente il loro tradizionale punto di forza che è l’ancoraggio con il territorio. Nelle conclusioni l’autore si pone domande che restano inevitabilmente senza risposte, che egli stesso riconosce devono ancora maturare: Quale nuovo capitalismo? Quale rafforzata etica degli affari? Resta l’auspicio per un’etica diffusa, per «una cultura e comportamenti più virtuosi, più sobri e solidali», anche con il ritorno all’enaudiana «responsabile attenzione alla riduzione dei costi e all’austerità».
Di Gianni Toniolo
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