Un bel mattino gli abitanti della città di R si ritrovano sovrastati da un cielo sahariano dal quale cade una pioggia di sabbia. La gente guarda dapprima meravigliata a questo fenomeno, poi inizia a preoccuparsi, dopodiché, quando si vede messa in isolamento e sotto sorveglianza, si fa prendere dal panico e si getta in una fatale lotta per la sopravvivenza. Si ritorna ai primordi dell’umanità, a quell’egoismo che mette l’uno contro l’altro. Vincono gli istinti, decade la ragione. Man mano che leggiamo ci vengono alla mente i ricordi del panico che fino a poco tempo fa abbiamo vissuto durante la pandemia di Covid-19, fatto sta che questo romanzo è del 1998.
Con L’assedio, la Rubbettino inizia la ripubblicazione dell’opera letteraria del calabrese Rocco Carbone, uno degli scrittori più importanti del panorama italiano di fine Novecento, morto nel 2008, a Roma, a causa di un incidente stradale. Il suo nome è ritornato alla ribalta grazie al romanzo Due vite di Emanuele Trevi, vincitore nel 2021 del Premio Strega. Per lungo tempo, questo scrittore è stato relegato nell’oblio, rischiando di passare per una delle tante meteore che ha attraversato il cielo della letteratura nostrana, sempre poco attenta al talento, sempre troppo attaccata al trend del momento.
L’operazione di Rubbettino ha quindi un sapore d’altri tempi. Verrà compresa? Noi ce lo auguriamo. Andando al romanzo, si comprende bene che la città di “R” è Reggio Calabria. Lo stile asciutto e immediato di Carbone, capace di delineare in una manciata di parole ambientazioni e personaggi, segue anche quella logica kafkiana in cui ogni aspetto è conseguenza dell’altro. Poche le domande che possiamo porci di fronte a uno scenario del genere, più le cose si mostrano nella loro assurdità, più ci appaiono per ciò che sono realmente. Ecco perché tanti passaggi di questo romanzo richiamano a noi i ricordi dei recenti lockdown.
La pioggia di sabbia che paralizza la città e getta nella disperazione gli abitanti, provoca un isolamento dal resto del mondo che fa di “R” una sorta di spazio sperimentale, un limbo nel quale i personaggi provano ad orientarsi con una ragionevolezza che però appare anacronistica. In una situazione del genere, in cui tutto viene messo in discussione, cambiano le regole del gioco. Cosa diventa l’uomo se non una bestia?
Se proprio vogliamo fare un accostamento, possiamo dire che Carbone tiene molto in considerazione la lezione del premio Nobel, José Saramago, che già nel 1995, con il suo Cecità, aveva affrontato questo tema. Così come non possiamo non citare anche un altro classico del genere, ossia Il signore delle mosche di William Golding. Certamente, Carbone si differenzia dai due scrittori, inserendo nel suo romanzo quella necessità di rispondere a una domanda, ovvero perché la brutalità e non l’aiuto reciproco?