Che accade a una missione di pace a guida italiana investita dalla pandemia? Una missione Nato che a differenza di quelle civili non può prevedere lo smart working e dove si ricorre all’anti Covid fai da te, che non sempre funziona.
Una presenza, quella della Kosovo Force, fondamentale per gli equilibri della regione, e che si trova coinvolta anche negli sforzi dei Paesi balcanici di fronteggiare l’emergenza sanitaria. I tormenti del comandante, stretto tra la necessità di ridurre i rischi di contagio rallentando le operazioni e quella di supportare le fragili strutture locali.
Prevale la seconda opzione, duty comes first, con tutti i rischi che ciò comporta. La trepidazione delle famiglie in Italia già provate per la loro realtà contingente, ancor più preoccupate per i loro cari in Kosovo che non riusciranno a vedere per un anno intero. In tutto questo si inserisce l’inasprimento di una annosa diatriba tra monaci ortodossi e autorità kosovare, una situazione esplosiva che l’Italia delle feluche e delle stellette riesce a disinnescare in extremis.
Andrea Angeli ha fatto parte con diversi incarichi civili delle missioni ONU, NATO e nazionali in quasi tutti i i teatri di crisi dei nostri giorni a partiure dalle missioni ONU in Namibia, Cambogia, Timor Est ed ex Jugoslavia dove è rimasto 16 anni.
Ha prestato servizio con l’ONU in Cile, in Iraq ai tempi del regime di Saddam Hussein e poi con la Coalizione a Nassiryah, e a New York. E’ stato inoltre portavoce dell’OSCE in Albania e della Ue in Macedonia e Afghanistan E’ stato portavoce del sottosegretario Staffan De Mistura durante la “crisi dei marò” con l’India con i governi Monti e Letta per poi divenire consigliere politico di sei comandanti dei contingenti NATO a Herat e Pristina