Il merito di Emanuele Trevi, con Due vite, è stato quello di puntare i riflettori su Rocco Carbone, un autore finito nel dimenticatoio.
Rubbettino ha ripubblicato “L’assedio”. Scrive Emanuele Trevi nell’introduzione:
“Finalmente, a quindici anni dalla precoce scomparsa, la prosa narrativa di Rocco Carbone entra nel prestigioso catalogo della Rubbettino, una splendida occasione di riscoperta di un autore tra i più originali e coinvolgenti nel panorama narrativo italiano fra tardo Novecento e inizi del nuovo millennio. La morte di Rocco, causata da un incidente stradale, a soli quarantasei anni ci ha privato sicuramente di molti ulteriori frutti del suo ingegno, ma quello che resta è sufficiente a riconoscere il valore di un’esperienza artistica caparbia e solitaria.”
Un romanzo apocalittico, dalla prosa cruda, in cui i protagonisti lottano per la sopravvivenza per superare l’emergenza dovuta a tempeste di sabbia che mettono in ginocchio una città, causando tanti feriti e morti.
In quest’ambientazione surreale i protagonisti dovranno fare i conti con la precarietà della vita, che assume un senso solo se si uniscono le forze e si lotta per il bene comune. La tempesta di sabbia è anche metafora del male che obnubila menti e cuori.
“Il terzo giorno un rumore improvviso cominciò a penetrare nella cella. Era un frastuono assordante di tempesta, che coprì i lamenti di ognuno e durò fino all’alba successiva, un rombo continuo e implacabile, più forte e diverso dalla più violenta pioggia di sabbia caduta in città da quel primo lunedì di marzo. Quando finì i prigionieri sentirono di nuovo le voci dei banditi, assieme al rumore di un camion. Poi fu silenzio. Passò altro tempo.”
E arriva un tempo in cui l’emergenza passa e si ritorna alla normalità:
“Da una nube alta apparve il sole, che illuminò con la sua quieta luce il cortile, i volti dei sopravvissuti, i loro vestiti laceri, i corpi magri e stremati. Si sentì il rombo di un motore farsi sempre più vicino, poco dopo apparve in aria un elicottero, che disegnò un ampio giro sulla caserma prima di continuare il suo volo. Retez cercò di parlare, ma le sue labbra si mossero appena. Guardò in alto, verso il cielo libero e chiaro. Si inginocchiò e baciò per terra. Poi pianse.”