Problemi e prospettive della Strategia nazionale
a cura di Sabrina Lucatelli e Francesco Monaco
Parliamo della Strategia Nazionale Aree Interne attraverso il volume – edito da Rubbettino, a cura di Sabrina Lucatelli e Francesco Monaco – che raccoglie le voci dei Sindaci, evidenziando problemi e prospettive di questa enorme operazione partita nel 2012: con il commento di Fabrizio Barca e un’intervista a Ciriaco De Mita abbiamo capito che la Snai è assolutamente innovativa nel metodo, ma in estremo ritardo su tutto. Oggi i progetti – compreso quello dell’Alta Irpinia – sono appesi e si comincia a nutrire una certa sfiducia.
La Strategia Nazionale Aree Interne viene percepita come un’occasione: lo leggiamo nel libro – edito da Rubbettino, a cura di Sabrina Lucatelli e Francesco Monaco – che raccoglie le voci dei Sindaci, evidenziando problemi e prospettive di una enorme operazione partita nel 2012.
Nel commento di Fabrizio Barca – che queste interviste le ha analizzate a fondo – viene fuori il vero tratto identitario del Paese, quello che non possiamo permetterci di perdere: le testimonianze dei Sindaci ci dicono che le aree rurali alla Snai ci hanno creduto, ci si sono aggrappati come una speranza – forse l’ultima – ma ne hanno immediatamente percepito le fragilità. E infatti nel 2019 resta ancora tutto appeso, i tempi sono lunghissimi e non si vede alcun cambio di passo da quando ogni area ha dato alla luce il suo progetto per migliorare – talvolta far partire da zero – servizi come scuola, sanità e trasporti, i tre punti essenziali individuati – che probabilmente oggi andrebbero rivisti – per poter davvero ragionare sulla scelta di restare o addirittura trasferirsi nelle aree interne.
Eppure la Strategia sopravvive, nonostante una generale sfiducia: l’Arcipelago dell’Alta Irpinia – con il suo Progetto Pilota – sta in piedi ormai dal 2015, ma i 200milioni della Regione Campania concretamente non ci sono, anche idealmente sono pochi e quando arriveranno saranno le coperture a mancare. E non basterà questa volta il forte senso dei luoghi a salvare tutto, come è stato al tempo in cui alla Snai bisognava aderire.
Scrive ancora Barca nel volume La voce dei Sindaci delle aree interne: «La Strategia «guarda avanti e non indietro», guarda al futuro; «è un foglio di carta bianco dove scrivere la nostra storia». Lo fa mettendo in discussione, mescolandosi con le attività ordinarie. E questo avviene e convince soprattutto nell’affrontare – la principale novità –, oltre alla costruzione di opportunità di lavoro e impresa, un migliore accesso e una migliore qualità dei servizi fondamentali di scuola, salute e mobilità. E’ fattore di rottura rispetto agli equilibri esistenti e alla conservazione, «produce conflitto», apre ai giovani – e tali sono molti dei sindaci referenti e più coinvolti. Promuove e induce una collaborazione fra i sindaci, sottraendoli all’attenzione al quotidiano e al micro intorno, configurando la possibilità di costruire una massa critica permanente – non unioni indotte da incentivi di corto respiro. La Strategia «porta a livello nazionale questioni locali», o meglio «porta il livello nazionale sul territorio»: improvvisamente appare uno «Stato fatto di persone», ed è evidente dalle parole dei sindaci – è stato evidente a noi durante oltre 60 mila chilometri in autobus per le vie minori e contorte dell’Italia – che è questa la carta, la sola carta, per ricostruire la fiducia spezzata nello Stato e negli esperti. Il luogo istituzionale dove i tre livelli di governo si incontrano – area progetto, regione e Stato – appare come un «nuovo livello intermedio di interlocuzione», che sostituisce quelli venuti meno (province e comunità montane)».
La portata innovativa della Strategia non è in discussione, ma le difficoltà sono altrettanto evidenti e quindi anche lo scetticismo diventa ormai difficile da superare, ci si augura però che non si torni indietro, in termini di confronto, ma soprattutto rispetto al processo culturale portato avanti.
Nel libro si approfondisce lo stato di avanzamento della Strategia, anche della nostra, affidata alle parole di Ciriaco De Mita – Sindaco di Nusco e referente del Progetto Pilota – che si dimostra profondamente legato all’Alta Irpinia, il territorio in cui è cresciuto nella consapevolezza della realtà quotidiana e che ha voglia di continuare a far crescere: «Mi stimolava l’idea ipotizzata di una forma d’intervento analoga a quella che noi avevamo immaginato da ragazzi, ovvero rendendo i comuni protagonisti. Anche allora, alla fine degli anni Cinquanta, c’erano a livello locale classi dirigenti di grande valore e serietà, ma mancavano le risorse. Per questo, non deve meravigliare che l’ex presidente del Consiglio, l’ex segretario della Dc accetti una sfida del genere, una sfida con la mia testa, con ciò che pensavo. Credo di essere una «bestia rara», perché qua in Alta Irpinia sono nato e cresciuto, e ne ho memorizzato difetti, virtù, ma anche le difficoltà, e quindi sento quasi il dovere d’intervenire. Voglio contribuire a migliorare ancora la condizioni di chi vive qua: capisco che i più giovani avvertano le cose che mancano, ma io so dove eravamo e dove siamo arrivati. Qua non c’era luce, non c’era l’acqua, non c’erano strade, non c’erano medici, forse c’era qualche farmacia. E vogliamo parlare della rete dei trasporti? In un’area come questa, dove la popolazione vive in campagna, è «rarefatta». Oggi i collegamenti non sono adeguati, e il disagio è evidente. Ho voluto dedicarmi a questo».
La Strategia in Irpinia dovrà risolvere qui grandi problemi che i comuni da soli non possono affrontare. E il primo è quello di fare l’azienda forestale che andrà a interessare un terzo del territorio della provincia di Avellino. Ci è voluto molto più del previsto per convincere i sindaci irpini a lavorare insieme: «La rivendicazione di autonomia, di libertà, in particolare da parte di chi amministra i comuni più grandi delle aree, che non vorrebbe perdere la centralità nel territorio. Personalmente, non ho mai immaginato di fare una cosa che si identificasse con il mio comune o con la mia figura, ma di aiutare gli altri a fare insieme, perché sono convinto che le cose che si fanno insieme riescono. Ho faticato a far capire a tutti gli amministratori dell’area che la Strategia, che invitava a ragionare su interventi che dovevano interessare l’insieme dei territori, segue l’unica strada percorribile. Che i piccoli comuni sono pezzi di una grande comunità, che i servizi devono essere garantiti a tutto il territorio. Questo ha reso un po’ lunga la prima fase, ma alla fine il programma è stato approvato all’unanimità».
E veniamo agli interventi concordati: «Per quanto riguarda la sanità, ci troviamo in un’area di 25 comuni, i cui cittadini vivono distribuiti su un territorio infinito Realizzare un ospedale a 100 chilometri di distanza da alcuni centri non sarebbe stato giusto. Di fatto, così, l’ospedale esistente – quello di Sant’Angelo dei Lombardi – è salvaguardato dalla legge, e grazie alla Strategia faremo in modo che operi al meglio, potenziando il pronto intervento e realizzando una collaborazione con l’ospedale di Avellino per gli interventi di maggior rilievo. Per quanto riguarda invece la scuola, abbiamo in mente un plesso baricentrico, che non funzioni solo per l’insegnamento. Ci saranno palestre, cinema, biblioteche: la ragione della presenza sarà sollecitata alla persona, non imposta. Per realizzare tutto questo, dobbiamo rivedere la struttura degli enti locali, che è quella nata con il terremoto, semplice. Per questo abbiamo sottoscritto una convenzione tra i comuni».
Intanto però la caduta demografica è stata così forte e prosegue con rapidità: 5% di caduta ogni dieci anni nella media delle 72 aree progetto, con un massiccio travaso interno a ogni area, dai borghi alti al fondo valle. Insomma il trend demografico è sempre negativo: «Siamo stati disattenti allo sradicamento della popolazione – continua De Mita nella sua intervista – e questo è costato quando sono andati via e costa oggi, che immaginiamo che questi abitanti possano tornare. L’accentramento della popolazione crea grandi problemi, non risolvibili. È un tema che sollevammo già alla fine degli anni Cinquanta: quand’ho iniziato a far politica, il mio gruppo e io siamo nati come «chi difende le aree interne», contro Napoli. Non perché eravamo contrari alla grande città, ma perché ritenevamo che fosse giusto un equilibrio. Adesso questo riequilibrio diventa necessario, ma non riesco a individuare un’iniziativa dei governi caratterizzata da grande impegno. La Strategia è l’inizio di un riequlibrio naturale. È come mettere un ragazzo in biblioteca: vede i libri, e allora inizia a leggerli, e scopre che leggendo di più va meglio. Ma non viene obbligato a leggere».
Qui forse vale la pena cambiarla questa strategia, invertire le priorità, perché – e lo ribadiamo correndo il rischio di risultare tromboni ripetitivi – i servizi essenziali sono niente senza il lavoro sul mercato, le due cose dovrebbero viaggiare di pari passo: allo stato dell’arte e con tutto il rispetto per il De Mita pensiero la Snai appare oggi come un altro sussidio di sopravvivenza, senza una precisa visione del futuro, con uno Stato che predica innovazione e non la pratica. Tra l’altro sembra impossibile capire se questo Governo ha intenzione di occuparsi della Strategia Nazionale Aree Interne, con quale attenzione e quando.
Sono gli stessi Sindaci a lasciare emergere queste perplessità: le regole del gioco probabilmente vanno ridisegnate, anche in fase di realizzazione, perché ci sono molti forse e tanti se che non convincono sulla Snai come argine al declino demografico, almeno non senza una classe politica nazionale in grado di rimuovere gli ostacoli e impegnarsi per un nuovo modo di amministrare.
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