Da Avvenire del 26 febbraio
Non si può certo dire che il nome di Raymond Aron sia sconosciuto al pubblico italiano. Lo studioso francese è però noto più che altro come alfiere del pensiero liberale e come antagonista, in mille polemiche giornalistiche, dell’antico compagno di studi JeanPaul Sartre. Aron fu invece anche molto altro. E soprattutto fu uno studioso originale, che non abbandonò mai né l’insegnamento né il lavoro di ricerca. Forse è anzi proprio la sua fluviale produzione a rendere complesso l’approccio alla sua opera. Anche per questo è prezioso questo volume di Alessandro Campi, che riconduce il profilo dell’intellettuale francese nell’affollata (e tutt’altro che omogenea) famiglia del realismo politico.
Come ebbe modo di dire nelle sue Memorie, Aron assunse come obiettivo quello di «riportare la poesia ideologica alla prosa realistica». Ciò non significa che Aron non sia stato per decenni insensibile alle passioni politiche. Ma, riuscendo a coniugare le due dimensioni della “passione” e della “scienza”, non perse mai la freddezza per esplorare l’universo politico. Sulle orme dei grandi realisti del passato (da Tucidide a Weber, da Machiavelli a Pareto) tentò di sviluppare un metodo di indagine ancora estremamente prezioso. Al tempo stesso, fu severo nei confronti delle varie forme di «realismo ingenuo» e di «pseudo realismo», e cioè verso quelle visioni che approdano a un cinismo compiaciuto e alla celebrazione della politica di potenza.
Nel corso della sua lunga carriera, non puntò a isolare le «tendenze costanti» che influenzano (o “determinano”) la vita dei sistemi politici. Ma vide piuttosto nella politica «l’arte delle scelte senza ritorno e dei lunghi disegni», nella convinzione che la realtà dovesse essere compresa nella sua condizione storica. E soprattutto fu tutt’altro che insensibile, come invece accade talvolta ai realisti, alla dimensione morale della politica. Tanto che, come mette bene in luce Campi, l’autentico realismo appariva agli occhi di Aron fondato sulla «morale della saggezza». Quella morale, come scrisse in Pace e guerra tra le nazioni, che «si sforza non solo di considerare tutte le particolarità concrete di un singolo caso, ma anche di non trascurare nessuno degli argomenti di principio e di opportunità, di non dimenticare né il rapporto delle forze né la volontà dei popoli».
di Damiano Palano
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