Perché ci dovrebbe impensierire l’idea di essere 12 milioni in meno da qui a mezzo secolo? O la semplice constatazione che il numero dei nostri concittadini con più di 75 anni ha superato ormai da tempo quello dei minori di 12? Questo ‘allarme demografico’ risuona periodicamente, qualche volta anche forte, ma rischia di diventare una specie di rumore di fondo.
Per dare qualche numero, è bene sapere che nel 2021 in Italia sono nati 399mila bambini, mentre in Francia sono stati 740mila. È ormai riconosciuto che gli italiani fanno meno figli rispetto al passato, ma soprattutto – a causa del crollo delle nascite nei decenni scorsi – sono pochi i genitori potenziali. Siamo finiti insomma in una ‘trappola demografica’, cioè in una spirale che porta con sé un’economia più debole, imprese poco innovative, pensioni insostenibili, scuole chiuse e territori desertificati. In una parola: il declino. Lo sostengono i giornalisti economici Luca Cifoni e Diodato Pirone nel libro La trappola delle culle. Perché non fare figli è un problema per l’Italia e come uscirne (Rubbettino, 2022).
È un problema laico e urgente
Nella prima parte del libro gli autori analizzano lo scenario in cui il nostro Paese detiene i primati europei di bassa natalità e di invecchiamento: “Il dibattito pubblico italiano sulla natalità si basa, in larga parte, su considerazioni estemporanee e luoghi comuni. Non tiene conto, quasi mai, di un dato di fatto scomodo, cioè che la scelta delle italiane e degli italiani di avere pochi figli – spontanea o meno che sia – si inserisce in un quadro in cui le nascite si riducono da sole, in automatico”, si legge nell’introduzione del libro, che fa riferimento al crollo demografico avvenuto in Italia tra gli Anni 70 e 80 che ha decimato le generazioni dei potenziali genitori.
Nella seconda parte del libro sono delineate nove azioni da intraprendere per provare a invertire la tendenza. Queste azioni non si esauriscono nelle politiche pubbliche e anzi devono coinvolgere tutta la società (a partire dal mondo delle imprese): la prima è rimuovere il blocco culturale che ci impedisce di percepire la natalità come un valore civile, laico e moderno. Gli autori propongono di costruire un linguaggio comune per parlarne in modo adeguato nell’Italia di oggi: “Parole né di destra né di sinistra, non inquinate da retaggi ideologici e luoghi comuni, universalmente accettate perché pragmatiche e realiste”. Poi si rivolgono allo Stato e alle imprese con consigli da mettere in pratica nell’immediato, come modificare le leggi sul congedo parentale a favore di entrambi i genitori.
Per gli autori, infatti, il crollo della natalità è qualcosa da prendere molto sul serio, se proviamo a intravedere la fisionomia delle nostre comunità nel prossimo futuro. “Pochi giovani e tanti anziani significa carenza di lavoratori, compresi quelli più qualificati, con pesanti conseguenze sulla capacità di produrre ricchezza e sulla tenuta del welfare state”, si legge nel testo. Pochi giovani significano, allo stesso tempo, una società sbilanciata, meno dinamica, inevitabilmente più conservatrice in cui si riducono gli spazi per l’innovazione. “È ovvio che la questione andrebbe affrontata prima di tutto sul piano dei diritti; l’impatto sulla natalità sarebbe limitato in termini quantitativi, ma simbolicamente molto significativo”, concludono Cifoni e Pirone.