Matteo Re e Gaizka Fernández Soldevilla, docenti universitari, ripercorrono la storia dell’Eta e degli altri gruppi spagnoli
Dall’attentato terroristico di Barcellona sono passati quasi sei anni: un camioncino guidato da un terrorista islamico dilaniò 17 passanti sulla Rambla, la via pedonale più famosa della città. Alcuni ricorderanno a Vigevano, l’11 giugno scorso, durante l’evento Astrolibro a palazzo Merula, Matteo Re: quasi in sordina ha presentato il saggio “Storia del terrorismo in Spagna. Dall’Eta al jihadismo” edito da Rubbettino, scritto da lui insieme a Gaizka Fernández Soldevilla. Proprio di terrorismo parlano lui e Fernández Soldevilla, il cui nome, Gaizka, tradisce origini basche.
Quasi chiunque abbia visto “Ogro”, film bellissimo con Gian Maria Volonté che trattava l’attentato a Luis Carrero Blanco, capo del governo della Spagna franchista ucciso nel 1973, tifava per i terroristi. La realtà storica è diversa, e nel volume non manca nemmeno un paragone tra l’estremismo spagnolo (l’Eta, ma non solo) e quello nostrano principalmente di estrema sinistra. Il volume è dedicato proprio alle vittime di Barcellona.
«L’Eta – approfondisce il professor Re – si è dissolta solo nel 2018, cinque anni fa. Si tratta di un gruppo terroristico che, con la pretensione di raggiungere l’indipendenza di una macro regione (mai storicamente esistita) comprendente i Paesi Baschi, la Navarra e le regioni basche francesi, ha ucciso ben 853 persone tra il 1968 e il 2010. Uno dei falsi miti che abbiamo voluto sfatare in questo libro riguarda l’erronea convinzione che l’Eta sia stato un gruppo di liberazione nazionale in chiave antifranchista. Pertanto, la sua lotta contro una dittatura sarebbe stata più che legittima. Questa immagine ha contribuito a romanticizzare l’Eta fuori dal territorio spagnolo, anche qui da noi. In realtà, i terroristi si prefiggevano come obiettivo esclusivamente l’indipendenza e, per ottenerla, combattevano il regime che li ostacolava: prima il franchismo, più tardi la democrazia. Le cifre parlano chiaro, solo il 5% delle vittime dell’Eta vengono uccise durante il franchismo, il 95% dei morti si producono quando Franco ormai è morto. Moltissimi negli anni Ottanta, quando al governo c’erano i socialisti, molti negli anni Novanta, con i popolari alla Moncloa (sede del presidente del Governo)».
Ovviamente, all’interno del libro c’è spazio anche per altri gruppi armati: alcuni di matrice marxista-leninista, altri di ispirazione jihadista e altri ancora neofascisti. Questi ultimi sono molto interessanti perché spesso si sono ispirati al neofascismo italiano. Di fatto, un certo numero di italiani nostalgici di Mussolini e mossi dall’idea che la violenza fosse indispensabile per ottenere benefici politici, si trasferirono proprio in Spagna a ridosso della fine del Franchismo. Il regime li protesse, loro addirittura collaborarono con i servizi segreti spagnoli e crearono una fitta rete coordinata soprattutto da Stefano Delle Chiaie. Una volta morto Franco, nel novembre del 1975, e con l’avvicinarsi del sistema democratico, praticamente tutti abbandonarono la penisola iberica per rifugiarsi, soprattutto in Sudamerica, e approfittare della copertura garantita dai vari regimi dittatoriali molto diffusi in quell’epoca.
«Anche in Italia – prosegue Re – abbiamo avuto diverse organizzazioni terroristiche, la cui durata è stata molto altalenante nel tempo. La più longeva, le Brigate Rosse, nacque nel 1970 e si dissolse nel 1988. Il confronto logico con la Spagna sarebbe tra le Br e i Grapo (Grupos de Resistencia Antifascista Primero de Octubre), organizzazione di ispirazione marxista-leninista, come le Br appunto, colpevole dell’omicidio di 93 persone (i brigatisti, secondo i miei calcoli, ne uccisero 78). Questo ci porta a un confronto interessante. La Spagna detiene il triste record di avere due dei tre gruppi più mortiferi della storia del terrorismo contemporaneo europeo. Infatti, dopo l’Ira in Irlanda del Nord, l’Eta e i Grapo sono le due organizzazioni che più hanno ucciso. L’Eta è stata anche molto longeva, molto di più delle Br. Questo è in parte dovuto alla sua principale caratteristica, l’essere stata un gruppo nazionalista, ed aver quindi usufruito di una importante presenza territoriale. Non dimentichiamo poi che l’Eta ha avuto a sua disposizione anche un partito politico, diversi giornali, un sindacato, una rete socio-eonomica importante, tutti elementi che hanno favorito la sua prolungata durata nel tempo».
Oggi in Spagna l’Eta ha lasciato un’eredità politica. Una coalizione che appoggia l’attuale governo presieduto da Pedro Sánchez, Bildu, è l’erede diretta degli ultranazionalisti baschi che uccisero 853 persone. Nelle municipali di qualche settimana fa, proprio Bildu ha presentato nelle sue liste una quarantina di ex terroristi, sette dei quali avevano scontato una condanna per delitti di sangue. Detto questo, la possibilità che l’Eta riappaia è pressoché nulla: l’ultranazionalismo ha ormai rinunciato all’indipendenza, accontentandosi di una dose sempre maggiore di autonomia e di aumentare la presenza istituzionale a livello di politica locale. Diverso è il discorso sulla radicalizzazione. Purtroppo, vi è ancora una parte della società basca molto radicalizzata verso un nazionalismo escludente e settario. Per quanto riguarda l’Italia, che ha avuto la fortuna di non aver mai sofferto un attentato jihadista, e necessario non abbassare il livello di guardia. È fondamentale monitorare la presenza sul territorio di possibili attori solitari, vale a dire di persone ispirate al salafismo più radicale e violento, molto difficili da prevedere nelle loro mosse. Questa rimane, per ora, la principale minaccia. «Infine – conclude il professore vigevanese – mi piacerebbe ricordare che il libro scritto da me e da Gaizka è dedicato alle vittime del terrorismo avvenuto in Spagna, tre delle quali sono nostri connazionali uccisi il 17 agosto del 2017 sulla Rambla di Barcellona per mano di un terrorista jihadista».