Luca Dal Fabbro, tra i massimi esperti italiani di transizione energetica, manager di lungo corso nel mondo dell’energia e dell’economia circolare e presidente dell’Esg European Institute discute con “IlGiornale.it” del futuro della transizione dopo la guerra in Ucraina.
La transizione ecologica non sarà un pranzo di gala negli anni a venire, specie dopo che la guerra russo-ucraina ha posto in essere diverse problematiche riguardanti la gestione del passaggio dai settori tradizionali a quelli condizionati dalle nuove tecnologie green. I costi sociali, economici e politici della transizione imporranno, in futuro, di mettere anche la sicurezza energetica, nei settori tradizionali come in quelli di frontiera, al centro di ogni discorso futuro sul tema. Di queste tematiche abbiamo discusso con Luca Dal Fabbro, tra i massimi esperti italiani di transizione energetica. Manager di lungo corso nel mondo dell’energia e dell’economia circolare, Dal Fabbro è stato – tra l’altro Presidente di Snam, Amministratore Delegato di Enel Energia e E.ON Italia e membro del Consiglio di Amministrazione di Terna. Oggi è presidente dell’Presidente di ESG European Institute dedicato allo studio dei temi della finanza sostenibile e recentemente ha dato alle stampe il saggio “ESG: La misurazione della Sostenibilità”, edito da Rubbettino con la prefazione di Raffaele Jerusalmi, per dieci anni amministratore delegato di Borsa Italiana.
Come cambiano gli obiettivi legati ai piani di transizione ecologica e green per le imprese e i governi dopo la crisi energetica in atto?
“In questo contesto la sicurezza energetica è sicuramente la priorità. In Europa, il gas rappresenta circa un quarto del mix energetico. L’UE importa il 90% del gas che consuma, e oltre il 40% del suo consumo totale di gas proviene dalla Russia. Imprese e governi hanno come obiettivo prioritario la messa in sicurezza della produzione e l’incremento della resilienza del sistema energetico nazionale, per evitare blackout e contingentamenti della produzione. Un ruolo importante è affidato alle energie rinnovabili, che producendo elettricità a livello locale possono contribuire all’indipendenza energetica. Tuttavia, per raggiungere gli obiettivi che l’Italia si è posta per il 2030, dovremo installare almeno 70 GW di rinnovabili nei prossimi 10 anni. Un numero ambizioso, contando che ad oggi la capacità installata di rinnovabili in Italia si attesta a circa 60 GW. Inoltre questo significa installare nei prossimi anni circa 7 GW all’anno, a fronte di un numero pari a circa 0,8 GW nello scorso anno. Ad oggi, il principale ostacolo ad una rapida transizione non è la mancanza di capitali ma la lentezza delle procedure burocratiche”.
Come le imprese possono fare fronte a questo scenario di tempesta perfetta su materie prime, energia, inflazione?
“L’economia circolare può essere un modello di riferimento in questo scenario. Economia circolare significa non solo riuso e riciclo, ma ripensare il ciclo produttivo per minimizzare l’impiego di materie prime vergini e lo smaltimento in discarica dei prodotti finiti. Un’economia maggiormente circolare si traduce in minori costi per materie prime e catene di fornitura più corte, in uno scenario post pandemico caratterizzato da grandi costi e ritardi nelle catene del valore globalizzate. Laddove possibile, è di fondamentale importanza anche l’autoproduzione di energia elettrica con l’installazione di pannelli fotovoltaici”.
In che misura ritiene che questo impatterà sui tempi necessari per la transizione?
“Nel breve periodo dobbiamo pensare alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, ma nel medio e lungo periodo dovremo tra le priorità inserire anche la sostenibilità ambientale ed i costi. Su questi tre pilastri si deve basare la strategia energetica dell’Europa. Condivido l’opinione di Larry Fink, CEO e Chairman di Blackrock, la più grande società di investimento nel mondo, che sostiene che rendersi indipendenti dal gas russo può portare a un decremento nel breve periodo del livello sostenibilità dei mix energetici dei vari Paesi. È noto l’incremento nell’utilizzo di carbone registrato da Paesi come la Germania, che si è avuto a seguito della crisi del gas russo. Nel medio periodo, però, queste tensioni geopolitiche possono in realtà portare ad una accelerazione sul lato della transizione energetica, che altrimenti sarebbe dipesa maggiormente dal gas. Di fatto, la situazione attuale accelererà gli investimenti in energia rinnovabile e in nuove tecnologie, come il biometano da rifiuti urbani e dalla zootecnica e nel medio periodo l’idrogeno verde. La pandemia da Covid-19 ha rivoluzionato sistemi ormai consolidati relativamente all’organizzazione del lavoro e ha accelerato la transizione digitale, mostrando il potere che una crisi di portata globale ha nell’accelerare il cambiamento”.
In un contesto odierno avete sottolineato che le persone in Italia sono preoccupate sia dell’inflazione che dei temi legati alla sostenibilità. C’è la consapevolezza del legame tra sostenibilità e sicurezza economica dunque?
“Questa crisi può essere l’opportunità per evidenziare un concetto importante: non esiste una fonte energetica a costo zero. Guardando al caso italiano, il carbone deve essere abbandonato al più presto se vogliamo limitare l’aumento della temperatura globale, mentre il nucleare è al centro di un atteso dibattito, ma di fatto ad oggi è assente nel mix energetico. Anche sulle rinnovabili ci sono stati negli anni ritardi e manifestazioni di ostilità, soprattutto per ragioni paesaggistiche. In questo contesto, la soluzione migliore è sembrata incrementare le importazioni di gas dalla Russia, anche dopo l’annessione della Crimea avvenuta nel 2014. Una decisione strategica molto grave, come ha sottolineato Mario Draghi, che ci ha reso ancora più dipendenti dalla Russia. Serve oggi una politica energetica nuova, che miri il più possibile all’indipendenza dalle fonti fossili e che sia condivisa da tutti gli stakeholders, ricordando che non esistono soluzioni a costo zero e che oggi stiamo pagando, in termini di inflazione e dipendenza energetica, il prezzo di ritardi e decisioni strategiche errate prese negli scorsi decenni. Come detto, la sfida è ovviamente quella di conciliare la necessità della sostenibilità ambientale con un costo dell’energia accessibile durante la transizione”.
Che spazio avrà negli anni a venire la finanza green legata agli obiettivi ESG?
“Il settore degli investimenti sostenibili sta diventando sempre più importante. Secondo Morningstar, solo nell’ultimo trimestre dello scorso anno, ci sono state contribuzioni pari a $143 miliardi nel settore dei fondi sostenibili. Ad oggi, sono circa $2,7 i triliardi gestiti in quasi 6.000 fondi sostenibili. Su questo punto, bisogna sottolineare il cambio di prospettiva degli investitori finanziari professionali. Oggi per valutare un’impresa o un investimento non basta più guardare ai soli dati finanziari. Sempre più spesso le decisioni di investimento e le valutazioni su piani aziendali non si basano esclusivamente su parametri “finanziari”, ma tengono conto anche dei fattori “extra-finanziari” ovvero ESG (Environmental, Social and Governance), che giocano un ruolo fondamentale nel determinare la sostenibilità di un investimento nel medio lungo periodo. Se fino a poco tempo fa gli investimenti sostenibili erano visti come una classe a sé stante, con rendimenti inferiori a fronte di un impatto ambientale o sociale positivo, negli ultimi anni si è iniziato a capire quanto la sostenibilità giochi un ruolo fondamentale nei processi di creazione di valore e di mitigazione dei rischi aziendali. Problemi come la scarsità d’acqua, l’uso di combustibili fossili, l’inquinamento dell’aria, l’acidificazione degli oceani e standard inadeguati di governo aziendale possono pregiudicare la capacità produttiva delle aziende e avere in ultimo pesanti effetti finanziari. La finanza sostenibile gioca dunque un ruolo strategico nell’allocazione di capitale, premiando quelle aziende che non solo sono in grado di competere a livello finanziario, ma che nel farlo producono un effetto ambientale o sociale positivo”.
Su che strategie deve indirizzarsi l’Italia per vincere la partita della transizione negli anni a venire?
“L’Italia consuma ogni anno 70 miliardi di metri cubi di gas, pari a circa il 42% del mix energetico nazionale. Di questi, il 40% è gas russo. Il nostro Paese, in assenza di energia nucleare e avendo la necessità storica di superare il carbone come fonte energetica, si trova con un mix energetico fatto di gas e rinnovabili. Difficilmente potremo apportare modifiche a questa situazione strutturale, specie nel breve periodo. Quello che però possiamo fare è cercare di diversificare la quota di gas che oggi compriamo dalla Russia, importando più GNL e puntando sul biometano. Il primo ha il vantaggio di poter essere trasportato via mare e importato da Paesi come USA e Qatar. Ad oggi le criticità riguardano soprattutto le capacità di rigassificazione, un problema su cui il Governo e i principali attori industriali stanno lavorando. Il piano nazionale prevede di aumentare l’efficienza dei tre rigassificatori attuali – Olt-Livorno, Rovigo e Panigaglia – e costruire altre infrastrutture nei prossimi 12-24 mesi. Quanto al biometano, questo ha il vantaggio di essere un combustibile rinnovabile, che si ottiene soprattutto dalla frazione organica dei rifiuti urbani e dagli scarti dell’agricoltura. Il nuovo piano Europeo, REPowerEU, presentato l’8 marzo 2022, subito dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, ha raddoppiato il già ambizioso obiettivo per il biometano stabilito nel pacchetto Fit for 55%, portando la produzione a 35 miliardi di m3 all’anno entro il 2030. L’Italia ha una posizione di leadership nel settore, in cui ci si aspetta una crescita sostanziale nei prossimi anni. Infine, come già ricordato, importanza fondamentale rivestono le energie rinnovabili e nuove tecnologie come l’idrogeno verde, che possono aiutare a decarbonizzare le industrie hard-to-abate”.