Prof. Francesco Ronchi, Lei è autore del libro La scomparsa dei Balcani. Il richiamo del nazionalismo, le democrazie fragili, il peso del passato, edito da Rubbettino: perché è possibile affermare che i Balcani sono ancora in grado di condizionare il futuro dell’intero continente?
I Balcani sono uno snodo fondamentale per l’Europa. Innanzitutto da un punto di vista geopolitico perché questa regione, nel cuore dell’Europa, è ancora fragile e instabile, vulnerabile ad influenze esterne, non solo russe ma anche cinesi e turche. Inoltre è un laboratorio politico in cui prendono forma nuovi autoritarismi pronti ad insinuarsi in Europa. Ed è un “buco nero” in cui, data la debolezza delle istituzioni, il crimine organizzato si è sviluppato prepotentemente, controlla e organizza traffici pericolosi e minaccia ora la stabilità europea.
In Kosovo ma soprattutto in Bosnia vediamo con chiarezza quanto fragile sia la situazione. Il processo di costruzione di uno Stato centrale bosniaco appare claudicante ed incerto, minato dai secessionismi, innanzitutto quello serbo. Questo interroga sulla capacità di tenuta della Bosnia nel lungo periodo. Anche in Montenegro assistiamo ad un ritorno del nazionalismo.
In questo quadro, anche se non sappiamo con certezza cosa accadrà in futuro nei Balcani, sulla base delle lezioni della storia passata, possiamo intuire che se la situazione dovesse degenerare nella regione, questo avrebbe delle conseguenze devastanti su tutta l’Europa.
Per quale ragione i Balcani sono apparentemente scomparsi dall’agenda politica europea?
La rimozione dei Balcani dall’agenda politica europea è legata alla complessità e alle asperità della regione: nessuno Stato europeo vuole prendere il rischio di bruciare capitale politico in un contesto politico così compromesso e difficile. Credo ci sia inoltre una sorta di paura dei Balcani, un timore a confrontarsi con spinte profonde che l’Europa pensava di avere cancellato per sempre. Penso in particolar modo al nazionalismo che ritorna a soffiare potentemente sulla regione. DEtto questo non bisogna sottovalutare le iniziative in campo per sostenere la regione soprattutto da un punto di vista economico. Tuttavia il quadro appare talmente ingarbugliato e complesso che solo una iniziativa corale e forte dell’Europa potrebbe invertire la rotta per la regione.
In Serbia si assiste a un ritorno del nazionalismo: quali le motivazioni di fondo?
C’è un problema di fondo che riguarda pezzi interi della società e politica serbe che non hanno fatto i conti con la lezione catastrofica degli anni Novanta e di Milosevic. Non casualmente molti protagonisti della classe politica di oggi, compreso l’attuale presidente della repubblica Aleksandar Vucic, si sono formati in quel frangente di nazionalismo estremo. Manca in Serbia una coscienza critica in grado di esaminare gli errori del passato. Il nazionalismo degli anni Novanta è così sopravvissuto ed è oggi ancora più forte anche a causa degli errori compiuti nel primo decennio degli anni Duemila dai dirigenti democratici che hanno deluso le aspettative di cambiamento della popolazione, lasciando prosperare corruzione e malaffare.
I recenti episodi in Kosovo hanno dimostrato come la regione sia tutt’altro che immune dal revival nazionalista: che rischi corre il rinfocolarsi della tensione etnica in quella che Belgrado continua a ritenere una sua provincia?
Nello scorso ottobre, le forze speciali kosovare hanno intercettato gruppi paramilitari serbi nel Nord del Kosovo. È un brutto segnale che ricorda gli anni Novanta quando Belgrado armava milizie guidate da criminali. Ora la tensione sembra essersi ridotta in apparenza ma è probabile che la situazione peggiori nuovamente. In Kosovo fasi di calma apparente si alternano ad accelerazioni e fasi di violenza. Quello del Kosovo appare sempre più come un “conflitto congelato” che potrebbe scongelarsi ad ogni momento. La diffidenza fra i gruppi dirigenti dei due Paesi e anche fra le opinioni pubbliche è estrema e questo crea un terreno di coltura ideale per un conflitto.
In che modo tali fibrillazioni vengono sfruttate dalla Russia?
Il mondo serbo, soprattutto in Bosnia, rappresenta la principale porta di accesso di Mosca nella regione. E Mosca punta a soffiare sul fuoco. Non credo però che l’attuale instabilità nella regione sia dovuta solamente al ruolo di Mosca. Il nazionalismo e l’autoritarismo sono dinamiche locali, coltivate da attori balcanici, e sono questi i motori principali dell’instabilità’ nella regione. La chiave di svolta per i Balcani passa quindi dalla regione stessa.
Quali prospettive, a Suo avviso, per i Balcani?
L’Europa può perdere i Balcani se non verrà messa in campo una forte iniziativa politica per la regione che ponga al centro la lotta contro l’autoritarismo e la corruzione. Vanno quindi sostenute le forze del cambiamento democratico che oggi si sentono isolate e prive di interlocutori nazionali. Senza un chiaro sostegno europeo, difficilmente i Balcani riusciranno a cambiare e ad archiviare nazionalismi ed autoritarismi. Se questo non dovesse accadere, se si lasceranno le cose farsi da sole, il quadro non potrà che peggiorare e i Balcani esporteranno instabilità al resto dell’Europa.
Francesco Ronchi insegna Politica europea alla Columbia University a New York. Funzionario europeo, è stato incaricato delle attività a sostegno della democrazia nei Balcani per il Parlamento Europeo. Autore di numerose pubblicazioni ed articoli sulla stampa internazionale tra cui il “Wall Street Journal” e “Le Figaro”.