Da Il Giornale del 27 luglio
Da alcuni anni l’Unione europea è sottoposta a una duplice critica. Da destra è accusata di eccessivo centralismo e di ottusa burocratizzazione, e perciò di varare e di gestire un insieme di regole e di norme che, di fatto, si risolvono in vari impedimenti volti a soffocare la libertà economica e politica tanto degli individui, come delle imprese; inoltre di promuovere, sul piano culturale e morale, la formazione di una mentalità supina al conformismo più piatto espresso dal «politicamente corretto», i cui disastri sono sotto gli occhi di tutti gli spiriti liberi. Da sinistra, al contrario, viene tacciata di essere l’estrinsecazione del capitale finanziario – in particolare del sistema bancario – e di smantellare il Welfare State in nome di un’agenda neoliberale imposta dall’alto; un liberismo che favorirebbe, corporativamente, gruppi molto ristretti di potere.
Crediamo che non sia del tutto sbagliato sostenere che, in parte, entrambe le critiche non sono lontane dal vero, anche se in misura diversa. Come si può uscire, perciò, dalla contrapposizione fra lo statalismo e il liberismo?
È stato pubblicato in questi giorni, presso l’editore Rubbettino, un profetico saggio di Friedrich August von Hayek, Le condizioni economiche del federalismo tra Stati (pagg. 163, euro 12), che anche se scritto nel lontano 1939, quando cioè l’Unione Europea non stava nemmeno nel mondo dei sogni, ci fornisce un utile quadro concettuale per rispondere a questo dilemma. Naturalmente le indicazioni che si possono trarre non sono di natura pratica ed empirica, ma teorica e ideale. Hayek, da autentico liberale, risponde con una sola parola: con la libertà. Vediamo dunque di cogliere, nel suo federalismo, quegli insegnamenti in grado di indicare la strada capace di disincagliare l’Unione Europea dalle secche in cui si è arenata.
Per Hayek, l’utilità di una federazione fra Stati deve consistere prima di tutto in questo elementare principio: preservare la pace fra tutti gli Stati membri e favorire la libertà e la sicurezza dei suoi cittadini. Ciò comporta la creazione di un’unione politica, fondata su un comune apparato di difesa militare, a cui sia connessa una politica estera comune. Tuttavia, come egli scrive, queste premesse sono difficilmente concepibili senza una vera unione economica, cioè una politica fiscale e monetaria altrettanto comune che preveda, per logica coerenza, le fondamentali quattro libertà del mercato unico: la libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali. L’unificazione generale di questo mercato avrebbe effetti notevoli perché attiverebbe una dinamica competitiva in grado di vanificare le forme più diffuse di regolamentazione e tassazione che ne inceppano il meccanismo, sia a livello nazionale, sia a livello sovranazionale.
La realizzazione di un programma di riforma politica e intellettuale dell’Europa e dei suoi Stati membri, in senso autenticamente liberale, non potrebbe che sfociare ìn un federalismo teso a evitare il duplice scoglio di una unità soffocante, come di una dispersiva autonomizzazione, impedendo così un dirigismo interventistico dall’alto, come un nazionalismo monetario protezionistico dal basso. Nessun gruppo e nessun territorio sarebbero particolarmente privilegiati a danno di altri gruppi e di altri territori, perché non si costituirebbero delle fissità particolari univocamente ripetitive. Tutti troverebbero il loro giusto spazio in una federazione dalle storie, lingue e tradizioni più variegate.
Questo disegno politico ed economico diverrebbe possibile attuando la ricetta liberale più classica: quella del contrappeso fra le varie istituzioni. Più che esaudire all’istanza democratica centrata sulla domanda «chi ha diritto di comandare?», sarebbe molto meglio, per Hayek, trovare la risposta per quella liberale: «come limitare il potere di chi comanda?», passando così dalla centralità del soggetto (chi) alla centralità del modo (come). Le due polarità, nazionali e sovranazionali, risulterebbero fra loro bilanciate. È evidente che questa combinazione istituzionale non può prevedere, per la sua stessa natura, un’esaustiva legislazione capace di regolamentare tutti gli aspetti della vita politica ed economica che si presentano in continuazione. Bisogna perciò cercare di convivere con questa insufficienza, che è comunque un male minore rispetto alla rigidità legislativa imposta oggi dai diktat di Bruxelles. Ora, solo una federazione liberale decentralizzata potrebbe dar corso a questo equilibrio sempre aperto, portando a compimento il processo di integrazione europea nel rispetto dell’autonomia istituzionale dell’una e dell’altra realtà – nazionale e sovranazionale -, sullo sfondo della salvaguardia della più ampia libertà economica per tutti.
di Giampietro Berti
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