Nicholas Farrell, Giancarlo Mazzuca
Il compagno MussoliniLa metamorfosi di un giovane rivoluzionario
Da Il Giorno (Ed. Milano) del 18 febbraio
Quando, nel 1910, il ventisettenne Benito Mussolini divenne segretario della Federazione socialista di Forli e assunse la direzione del periodico «L’idea socialista», subito ribattezzato «Lotta di classe», era già ben noto nel confuso e vivace ambiente del rivoluzionarismo del tempo. Aveva collaborato a diversi periodici, a cominciare dalla rivista del sindacalismo rivoluzionario, «Pagine Libere», fondata a Lugano da Angelo Oliviero Olivetti (dove, lo sottolinea per curiosità, firmava come Mussolini Benito e non Benito Mussolini) per finire col quotidiano trentino «Il Popolo» diretto da Cesare Battisti. Questo giovane irrequieto, a metà fra il giornalista e l’agitatore, aveva avuto le sue grane giudiziarie, ma era considerato, malgrado l’aspetto poco curato e il carattere poco accattivante, un astro nascente nella galassia della sinistra rivoluzionaria.
Nel volume «Il compagno Mussolini» scritto con bel piglio narrativo da Nicholas Farrell e Giancarlo Mazzuca è riportata, fra altre curiosità degne di nota, la descrizione gustosa che il pittore forlivese Piero Angelini, quasi coetaneo di Mussolini e suo compagno di serali convivi e scorribande cultural-politiche al caffè della piazza centrale della città romagnola, tratteggia del giovane agitatore. Mussolini ci viene presentato con «una barba nerissima, incolta» che gli incornicia «il volto olivastro, pallidissimo»: un uomo dal «corpo magro e nervoso» che indossa sempre «un vestito nero, molto trascurato, piuttosto logoro» e che – «spesso a testa bassa, quasi nascosto sotto il cappello nero» portato «calato all’uso romagnolo» – cammina «velocemente, incurante di tutto e di tutti». Scrive Angelini: «Avresti detto che questa sua oscura tonalità, rotta soltanto dalla macchia bianca del colletto, non sempre fresco di bucato, esprimesse chiaramente la ribellione dell’anima e l’interno travaglio dello spirito». Il giovane Mussolini, così com’è descritto da Angelini (che lo ritrasse, poi, anche in una bella serie di schizzi a carboncino), richiama alla mente l’immagine di un anarchico di quelli della Belle Epoque, col «palamidone da bohémien» e «la svolazzante cravatta alla Lasvallière», pronto a immolarsi eroicamente per l’idea. Con la grossa differenza, però, che il rivoluzionarismo di Mussolini, piuttosto che a quella dell’anarchia, attingeva alla fonte del sindacalismo e del socialismo rivoluzionario. Nelle sue vene scorreva, insomma, del buon sangue romagnolo riscaldato dal mito dello sciopero generale e dalle pulsioni repubblicane proprie dell’ambiente. Non è un caso il fatto che potessero svilupparsi, lì, sentimenti di amicizia e solidarietà fra il giovane direttore della «Lotta di classe» e l’ancor più giovane direttore del giornale repubblicano forlivese «Il Pensiero Romagnolo», Pietro Nenni. I due si ritrovarono in carcere insieme e le mogli, conosciutesi nel parlatorio della prigione, divennero amiche. Nenni fondò poi uno dei primi fasci a Bologna, ma in seguito le loro sorti si divisero. Il 28 luglio 1943, subito dopo la caduta del regime, Nenni rivide Mussolini a Ponza: lui vi si trovava tra i confinati in attesa di liberazione, mentre l’altro vi era condotto prigioniero del re.
La formazione e la militanza rivoluzionaria di Mussolini, ben ricostruite da Farrell e Mazzaca, costituiscono una chiave di lettura per capirne anche l’evoluzione e la coerenza pur nel momento del passaggio dalla «neutralità assoluta» alla «neutralità attiva e operante» e, poi, all’interventismo nel 1914. Giacomo Matteotti di fronte alla giravolta del «predicatore delle maggiori intransigenze» e della
«più assoluta lotta di classe» prese, allora, le distanze con un secco «il giudizio è chiaro, e non ne parliamo più» in un articolo dai titolo
«Mussoliniana», ora riprodotto nel volume Socialismo e guerra (Pisa University Press) che, a cura di Stefano Caretti e con un saggio
di Ennio Di Nolfo, raccoglie tutti gli scritti matteottiani sulla guerra. La scelta di Mussolini per la guerra in realtà non fu iI frutto di una giravolta. Era implicita, prima ancora della fondazione del quotidiano «Il Popolo d’Italia», nelle pagine della rivista «Utopia» nella quale Mussolini raccoglieva le voci di quei sindacalisti rivoluzionari che non potevano trovare spazio sulle colonne dell’«Avanti!». Era una
scelta che derivava dalla convinzione del carattere rivoluzionario della guerra in atto.
Le parole che Mussolini pronunciò il 24 novembre 1914 nella riunione che ne decretò l’espulsione dal partito sono significative: «Sono e rimarrò socialista». Del resto, in molti ambienti del sovversivismo, a cominciare da quelli del sindacalismo rivoluzionario, la guerra fu interpretata come un’occasione rivoluzionaria attenta non più solo agli interessi di classe ma anche a quelli della nazione. Il libro di Farrell e Mazzuca rivela che, in un momento traumatico del conflitto, subito dopo Caporetto, Mussolini ricevette dai servizi segreti britannici finanziamenti per «Il Popolo d’Italia». Se ne occupò Sir Samuel Hoare, allora tenente colonnello inviato in Italia nell’estate del 1917 come comandante della British Military Mission, appunto l’agenzia dei servizi segreti inglesi del tempo.
Il suo compito era quello din evitare che le ripercussioni di Caporetto potessero favorire la tentazione da parte dell’Italia di abbandonare il conflitto mondiale. In questo quadro, i finanziamenti inglesi a Mussolini (che gli autori rivelano nei dettagli basandosi sulle carte dell’archivio privato di Hoare), al pari di quelli concessi ad altri interventisti, avevano la finalità politica di garantire l’appoggio
dell’opinione pubblica al proseguimento della guerra. Che per Mussolini, il Mussolini socialista o, per usare l’espressione di Farteli e
Mazzuca, il «compagno Mussolini» – continuava ad essere rivoluzionaria.
di F. Perfetti
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