“È cresciuta giorno dopo giorno, tra i racconti di mio padre, un viaggio nei suoi luoghi e la ricerca in rete, l’urgenza narrativa, il bisogno di fissare il legame della storia con la Storia, tra vicende sconosciute e conosciute, di affidare alle parole, nero su bianco, pagina dopo pagina, tra ordito e trama, il vero significato di questo legittimo contendere, nel nome di Pepi, della terra d’origine, del senso di appartenenza e di un esodo doloroso. A futura memoria.”
Rossella Scherl – napoletana, di padre istriano e calabrese per scelta (vive a Roccella) – firma con Pepi l’americano, pubblicato da Rubbettino, un libro necessario. Che restituisce vita ai suoi avi e alle vicissitudini degli italiani dell’Istria, passata dall’Italia alla Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale.
Scritto in prima persona – come autobiografia del protagonista con brevi inserti, sempre in prima persona, della di lui nipote – il libro diventa una tessera importante della biografia del nostro paese.
Nato nel 1887 a Fianona, allora parte dell’impero austroungarico e oggi località croata, frazione del comune di Chersano, Pepi – all’anagrafe Giuseppe Massimiliano – ha su di sè il marchio dell’illegittimità. Considerato un peso e un disonore all’interno della sua stessa famiglia, cresce senza affetti. Solo quando parte per imbarcarsi come mozzo, la madre – che nel frattempo si è sposata – lo va a salutare sussurrando “xé cressù el mio fiòl”: “Da che avevo memoria, mai l’avevo sentita chiamarmi così. Era come se fosse tornata da una terra dove aveva imparato un’altra lingua e avesse usato un termine che mi era da sempre straniero, perché nessuno si era mai preoccupato di insegnarmene il senso.”
È sul trabiccolo che fa rotta tra Fiume e Trieste, che “il bambino timido e introverso, capace di rimanere in silenzio per ore, che incassava la testa nelle spalle, si tormentava le dita, rispondeva a monosillabi, divenne un’adolescente che scherzava con i compagni di equipaggio e andava in giro con loro nei porti a divertirsi”. Da quel momento si apre ad una vita avventurosa: l’imbarco su un piroscafo in giro per il Mediterraneo, la traversata verso il Sud America, il lavoro a Buenos Aires, il faro di Punta Delgada. Fino alla scelta di tornare a Fianona che, nel frattempo, era diventata italiana.
“Volevo cogliere di sorpresa, guardare i volti dei… parenti cambiare colore, impallidire come di fronte ad un fantasma, sentire le loro mani, come quelle di Tommaso, assicurarsi che non fossi una visione.” Il risentimento, covato per anni, si scioglie di fronte ad un’accoglienza che non si aspettava e che rafforza la decidere di rimanere in paese: “… mi aveva convinto quello che avevo letto nello sguardo di chiunque avevo incontrato dal mio arrivo, ricordandomi il motivo per cui valeva la pena tornassi. Era bastato un abito signorile. Troppo poco dal mio punto di vista. Il rispetto, quello vero, va meritato, bisogna dimostrare di esserne degni. C’ero riuscito altrove, dove avevo imparato a camminare a testa alta, facendo lavori faticosi, cucinando, scaricando casse, cucendo reti. Ci sarei riuscito anche a Fianona e avrebbe dato un senso alle umiliazioni, alle sofferenze, ai sacrifici. Non sarebbe servito per poter sostituire il cognome che portavo con quello che mi sarebbe spettato; non sarebbe servito per poter cancellare dai documenti la dicitura di figlio illegittimo, ma avrebbe convalidato che non ero uno scarto.”
Ha abbastanza soldi per costruire un futuro economicamente solido: “I miei ventimila dollari, a Fianona, in lire, valevano una fortuna. Altro che pezzo di terra! Ne avrei potuto comprare a sufficienza per conquistare, senza fatica e subito, l’attenzione dei notabili.” E vuole una famiglia: “Pepi l’americano, come mi avevano soprannominato in paese, voleva figli a cui dare il proprio cognome e un futuro.”
Dovrà fare i conti, oltre che con se stesso – imparando che il perdono è l’unico antidoto a ferite altrimenti irrimediabili – con la Storia: la guerra, l’occupazione tedesca, quella titina, la scelta se rimanere in Jugoslavia o scegliere l’Italia.
Una vicenda, quella di Pepi l’americano, scritta con stile sobrio, che, nell’ultima parte – quella più ricca di elementi documentaristi – sottende alla trattenuta passione quasi un urlo lacerante per il tanto non detto, in questi decenni, sugli italiani d’Istria che hanno scelto l’Italia e non ne hanno ricevuto sufficiente amore.