Dal Corriere del Mezzogiorno del 3 marzo
Ormai la solidarietà ha ricevuto tutto l’incenso che merita e un tantino di più, e qualche lettore egregio comincia a sentire il bisogno di cambiar profumo, per evitare il voltastomaco». Più del lettore cui si rivolge, Sergio Ricossa è «fuori del gregge», e in lui convivono «a dosi variabili, il solidarista e l’antisolidarista, non perché sono senza coscienza: al contrario perché ne ho due e vorrei averne di più». Rubbettino riporta in libreria questo pamphlet dal titolo politicamente corretto, più «abboccato» di quello che l’autore aveva in mente («Contro la solidarietà»). Uscito per la prima volta nel 1993 è, per la sua natura di pamphlet, sempre attuale; chiarissimo, esplosivo, provocatorio, è una lettura stimolante, che spinge all’approfondimento.
Con la consueta ironia, il «buon economista teorico» affonda la sua penna in un concetto che sconfina dal diritto alla politica, dall’economia alla sociologia, dalla psicologia alla religione. Il concetto è talmente sfuggente che «è quasi indifferente scrivere pro o contro la solidarietà, sebbene a scriverne contro mi annoi meno»: e annoia sicuramente meno anche il lettore costringendolo, a colpi di boutade, motti e paradossi, a non abbassare mai la guardia. D’accordo con Mandeville, Hume e Smith, smaschera le insidie insite in una tradizione consolidata e spara a zero sulla falsa moralità dei più: innato nell’uomo, l’«antisolidarismo», non ha «alcun bisogno di essere imparato». Va però compreso: «si dimentica facilmente che la solidarietà esige un patto anticipato tra almeno due persone, chi la propone e chi l’accetta». Prendendo spunto da Pareto – «quando ci si dichiara solidale con altri, è generalmente per prendergli qualcosa, e ben raramente, ossia mai, per dargliela» – dichiara che «i solidaristi di maggioranza, se non ci prendono i soldi, ci prendono l’indipendenza, l’orgoglio di far da sé, o peggio ci prendono i soldi e il resto».
Nell’elenco dei «solidaristi» si ritrovano: «le religioni della fratellanza universale, di cui il marxismo è una variante»; la camorra e la ‘ndrangheta, che «non differiscono granché dalla mafia quale onorata società solidaristica, di mutuo soccorso, in origine perfino con un codice semicavalleresco»; la «partitocrazia delle tangenti»; il «sottogoverno dei baroni»; le «cricche solidaristiche»; il fisco: «un bandito che non è mai stato il Robin Hood della foresta di Sherwood», diventato il «Robin Hood del regno di Id». La prudenza contro i «pericoli della solidarietà» non è mai troppa.
E chi ritiene che Ricossa esageri «nel denunciare il trabocchetto del welfare state, senta Giovanni Paolo ll nella Centesimus annus.
Di Monica Mattioli
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