da La Sicilia del 6 Luglio
Lei, lei, l’altra. La prima lei: una prof unconventional, che ha scritto la Treccani dell’innovazione e delle start up, ma continua a imparare ogni giorno – con entusiasmo ed energia – dai suoi studenti. La seconda lei: è una cronista di razza, folgorata sulla via della comunicazione 2.0 e dell’innovazione creativa. L’altra, ovvero la terza protagonista di questo “triangolo” tutto al femminile è la meritofobia. Ovvero: quella brutta strega – sempre donna! – che in Italia, al Sud e in Sicilia soprattutto, contrasta il merito; di più: «lo svilisce, lo mortifica, lo isola, lo svaluta, lo combatte, lo uccide». E così, remando controcorrente rispetto alle dolci acque di un’era in cui basta parlare di meritocrazia (magari con una spruzzata di populismo della serie «vinca il migliore») per fare il pieno di applausi e standing ovation nei convegni dove le solite persone parlano delle solite cose, le due “lei” hanno provato a fare tutt’altro. Prima di dirvi cos’hanno fatto, vi sveliamo chi sono. Elita Schillaci, docente ordinario di “Imprenditoria, Nuove imprese e Business planning” all’Università di Catania, già preside della facoltà di Economia, oggi presidente della rete We (Women House for Innovation) e della Sicilian Venture Capital Foundation; e Assia La Rosa, giornalista professionista e imprenditrice nel settore della comunicazione, fondatrice di I Press. Schillaci e La Rosa hanno realizzato – a quattro mani e due generazioni – un prontuario per valorizzare il talento, ma anche un analgesico contro il mal di merito. Due penne, due storie di vita, due visioni della realtà che convergono verso una sola direzione: si può andare avanti grazie al merito nel nostro Paese? La risposta nel libro Merito (fobia). No thanks! (Rubettino). Senza l’ambizione di essere il navigatore satellitare per uscire dalla strada delle «catene del demerito», ma con la consapevolezza che il percorso è comunque cominciato. Da dove? Da una consapevolezza: in Italia il merito non solo non è valorizzato, ma è addirittura affossato. E ed è subito pronta l’exit strategy: scardinare «ipocrisie e falsi proclami con cui il tema del merito è stato e viene tuttora trattato e comprendere le modalità con cui tenacemente, ma inesorabilmente, il merito è nel nostro Paese continuamente massacrato. Solo così sarà possibile mettere in campo corretti antidoti e terapie efficaci. E’ dunque tempo di intervenire energicamente sulla meritofobia, smascherarla e fare sentire i meritevoli, o comunque le persone operose e di buona volontà, non più casi isolati, ma maggioranza silenziosa e composta. Da difendere e da valorizzare». Ma che il merito sia ghettizzato i giovani se ne sono accorti e questo è un gran problema. Si ritrovano sempre più ad essere pessimisti, tra i più pessimisti d’Europa, ed a pensare che “l’aiutino” valga più dell’impegno e dello sforzo; ad accettare rassegnati che paghi di più essere furbetti piuttosto che dimostrare di possedere talento. Eppure non è tutta colpa loro: Ai nostri giovani nessuno parla più del merito: Roger Abravanel, invece, nel suo libro Meritocrazia dedica la prima dieci pagine alla declamazione di un decalogo del merito per i giovani.
La generazione degli sdraiati si è dimenticata del merito, del resto se sono sdraiati – come dice Michele Serra – sono impigriti dall’obesità d’amore, che li ha paralizzati attraverso falsi bisogni e un eccesso di consumi. Davvero facile «convincere ed autoconvincersi che i principi non servano, che la coerenza sia solo rigidità, che l’etica sta nel numero di volte che pronunci la parola e non nel numero di volte che ne tradisci il valore. Basta solo onorare apparenza e forma (a volte neanche più quella) e diventi il profeta del merito, anche se la tua carriera e le tue scelte così meritevoli non sembrano essere». E dire che oggi il tema del merito improvvisamente è balzato agli onori della cronaca, forse più della moda. «I talk show televisivi, sempre più show che talk, abbondano di qualunquisti che ipocritamente sottolineano la loro aderenza ai principi del merito e del talento. Strilloni e portaborse hanno imparato che basta impugnare la falce del merito, per picchiare poi con il martello del meritofobia. Inesorabilmente, e senza via di scampo, sempre più, giorno dopo giorno, ciò che vale nel nostro Paese è l’appartenenza. E se appartieni da più tempo, da moltissimo tempo, a qualcosa o qualcuno, la tua potenza è smisurata, il tuo successo assicurato». E poi i sette comandamenti. Primo: il valutatore (truccato) del merito. Secondo: ai blocchi di partenza non siamo tutti uguali. Terzo: le «filiere del demerito», la forza distruttiva delle allenze contro. Quarto: gli zombie del merito, se li conosci li eviti. Quinto: la generazione degli sdraiati, no merito e no regole. Sesto: l’elogio del malessere (ovvero non tutti i mali vengono per nuocere). Settimo: la cura dei luoghi infetti da meritofobia, i Guerrieri del Merito. A questo punto si apre una vera e propria carrellata dei “ninja” del merito: da Lenny, cinese, manager sotto il tendone del circo a Martina, ballerina e filosofa, in viaggio da Catania a New York in un vortice di energia, fino a Mirko, musicista underground, per concludere con Ottavia (innovatrice sociale e globetrotter oggi di stanza in Perù a 5mila metri d’altezza, in compagnia della sua bella anima e di una coperta di pecora) e con Santina, ricercatrice in neuroscienze e biopolitica che, mentre cerca di capire come animali e neuroni ricercano l’eccellenza, deve rispondere alle domande di sua figlia, otto anni, incalzante come un pubblico ministero con le domande sulla vita che zampilla. Sua madre, impegnata in «due o tre lavori che fanno a gara per smentirsi reciprocamente», ha provato a insegnarle almeno una cosa: «Ci sono due tipi di persone: quelli che fanno il lavoro e quelli che si prendono il merito. Meglio cercare di essere nel primo gruppo. Ci sarà sempre molta meno competizione». E lei, la piccola, l’ha già capita. Questa cosa qui.
di Mario Barresi
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di Mario Barresi