La preziosa eredità di San Giovanni Paolo II vive nella Chiesa di Francesco. intervista a Giacomo Galeazzi 0 (https://confini.blog.rainews.it)

di Pierluigi Mele, del 12 Febbraio 2020

Chi ha paura, ancora oggi, di Papa Giovanni Paolo II?

A questa domanda cerca di rispondere un libro, uscito proprio all’inizio dell’anno del centenario della nascita di Karol Wojtyla, scritto da due importanti vaticanisti: Giacomo Galeazzi e Gianfranco Svidercoschi. Il titolo del libro è emblematico: “Chi ha paura di Giovanni Paolo II. Il Papa che ha cambiato la storia” (Ed. Rubbettino). Con Giacomo Galeazzi,   vaticanista della Stampa, in questa  intervista mettiamo in evidenza i punti strategici del pontificato di Wojtyla.

Giacomo Galeazzi, il vostro libro (scritto insieme all’amico Gian Franco Svidercoschi) esce proprio nell’anno del centenario della nascita di Karol Wojtila. Allora proprio, come prima domanda, dal titolo : chi ha paura di Giovanni Paolo II?

 “Gli ambienti permeati dal peggior clericalismo. Parto da un esempio. L’accusa al recente Sinodo dei vescovi sullAmazzonia è arrivata da settori tradizionalisti: autorizza riti pagani in Vaticano e nella parrocchia di Santa Maria in Transpontina, oltre a legittimare eresie dottrinarie. Nel 1986 dagli stessi ambienti ultraconservatori arrivarono gli attacchi allincontro interreligioso di Assisi: consente agli animisti di sgozzare polli sullaltare della chiesa di Santa Chiara per compiere i loro riti, oltre a favorire il sincretismo religioso. Ieri ad essere criticato era San Giovanni Paolo II, oggi Jorge Mario Bergoglio. Veniva da lontano, lidea di una via religiosa alla pace”.A lanciarla, per primo, era stato Dietrich Bonhoeffer. Infuriava il nazismo e leroico pastore luterano, fatto più tardi uccidere da Hitler, aveva proposto unAssemblea mondiale delle Chiese cristiane che gridasse “la pace di Cristo al mondo impazzito e teso ad autodistruggersi“.  Ad aver paura di Wojtyla. sono sempre stati coloro che per spirito di conservazione del loro potere hanno cercato di boicottarlo e fraintederlo. Tre mesi dopo lelezione, in Messico, Giovanni Paolo II pronunciò delle parole rivoluzionarie. “La Chiesa vuole mantenersi libera di fronte agli opposti sistemi, così da optare solo per luomo”. Abituati, dai tempi di Costantino, a combattere o a cercare lalleanza della Chiesa, a seconda che la Chiesa si opponesse ai loro interessi o li sostenesse, Stati e regimi politici si trovarono spiazzati – e impauriti” – a scoprire una Chiesa che si liberava definitivamente dal fardello delle collusioni ideologiche e politico-economiche. 130 Tentarono di volta in volta di appiccicargli le etichette più diverse. Ma Giovanni Paolo II – parlando di pace, di giustizia e in difesa della vita – non fece altro che rivendicare la verità di Dio. E, per ciò stesso, la verità sulluomo”..

Sappiamo quanto sia imponente la personalità di Wojtila. Il vostro libro è un tentativo, autorevole, di riproporre all’opinione pubblica (non solo cattolica) gli elementi strategici del Pontificato wojtiliano. Partiamo dal primo: il suo Cristocentrismo. Ricordiamo la sua prima omelia : “Aprite, spalancate le porte a Cristo”…. È un Cristocentrismo vissuto in maniera “apocalittica” (in senso positivo ovviamente). È così?

Cristo è al centro. Traccio un identikit del sacerdozio secondo Wojtyla. Un prete impegnato in prima linea nel sociale che al tempo stesso però difende la vita e la famiglia, i migranti e le fragilità. Per capirci, una figura simile a don Aldo Buonaiuto, il sacerdote anti-tratta della Comunità Papa Giovanni XXIII. fu papa Wojtyla a dare una poderosa spallata a quella che una volta aveva criticato come «lantica unilateralità clericale»; ma fu poi la realtà” profonda del cattolicesimo, sotto lazione dello Spirito, a emergere alla superficie, a imporre nuovi protagonisti – i giovani, i movimenti, le donne – e nuove vie – il passaggio da una Chiesa gerarchica, clericale, a una Chiesa più comunitaria, più laicale, più popolo di Dio. Ma va anche ricordato che, questo progetto di Chiesa, si imbatté in forti resistenze, subì ritardi e addirittura correzioni di rotta”, e, in genere, andò incontro a molte incomprensioni. E non sempre a causa di una vera e propria opposizione, ma anche, non di rado, per pigrizia”, per timore delle novità. Fu quanto accadde, con diverse intensità, sia nella Curia romana, sia in non poche diocesi, e perfino in numerose parrocchie. Dove spesso – per la persistenza di un autoritarismo clericale, quello del parroco-padrone – i laici continuavano a essere esclusi da qualsiasi responsabilità. Ma già Giovanni Paolo II, per primo, aveva messo in conto tutto questo. Sapeva bene come le rivoluzioni, specialmente quelle spirituali, avessero bisogno di tempi lunghi, prima di riuscire a entrare nelle coscienze e, più ancora, nelle strutture. Infatti, il Papa non si preoccupò più di tanto, quando venne a sapere dellesistenza di un fronte del no”. A lui importava seminare, e cioè che, nellhumus profondo del cattolicesimo, si depositasse questa immagine di una Chiesa rinnovata. Più che un uomo di governo, Wojtyla si sentiva fondamentalmente un pastore, un vescovo, e non era ossessionato dal fare-per-fare, o dal vederne subito i risultati”.

Il secondo elemento strategico, che ho colto dalla lettura del vostro libro è la critica antropologica alle ideologie: prima al comunismo e poi al capitalismo imperante. Come si sviluppa questa via “antropologica” nel discorso sociale di Giovanni Paolo II?
C’è un episodio che trovo rivelatore. Wojtyla era convinto che la Chiesa fosse credibile nella sua voce esterna solo dopo un processo di revisione e di purificazione interna. Per parlare alluomo e delluomo la Chiesa deve emendare le proprie colpe storiche. essere Finito il Giubileo del 2000, condensando e commentando il tutto nella sua splendida lettera apostolica, Giovanni Paolo II verso la fine se ne uscì con quellincredibile passaggio: «Ho chiesto alla Chiesa di interrogarsi sulla ricezione del Concilio. È stato fatto?». Un interrogativo che, non essendo poi seguito da una risposta, aveva un che di estremamente critico o di provocatorio, o tutti e due. Voleva dire che nessun vescovo – nessuno! – aveva toccato largomento. Nessuno aveva fatto sapere come fosse andata, nella propria diocesi, lattuazione dei documenti conciliari. Si sarebbe tentati di chiedersi: ma come fa un Papa, con un episcopato così, a cambiare ciò che non va nella Chiesa? Papa Wojtyla sapeva bene che il cammino che aveva scelto sarebbe stato lastricato di ostacoli e di incomprensioni. E che avrebbe suscitato inevitabilmente un certo malessere in non pochi credenti: disorientati di fronte alla prospettiva – erronea, certo, ma più che comprensibile – che la storia della Chiesa non fosse altro che una serie ininterrotta di colpe, di ombre oscure. E molto probabilmente, proprio a motivo di queste preoccupazioni, Giovanni Paolo II decise di percorrere la strada dei mea culpa”, come vennero poi chiamati, sostanzialmente da solo”.

Questa critica “antropologica” fa da supporto al suo disegno geopolitico. E su questo bisogna essere molto chiari: Nel pensiero di Giovanni Paolo II non c’è spazio per i nazionalismi e i sovranismi. È così?

Nulla è più lontano da Wojtyla della prospettiva suprematista. Chi oggi cerca strumentalmente di arruolarlo tra i suprematisti non conosce il suo pensiero. Al tempo stesso il suo sguardo era rivolto al mondo senza essere mai mondialista. Giovanni Paolo II era convinto della necessità di riformare in profondità lOnu e, in diversi Angelus, richiamò esplicitamente il personale diplomatico delle organizzazioni internazionali a cambiare strada sui temi bioetici. «Nel Consiglio di sicurezza, per esempio, serve una migliore rappresentatività. La composizione a quindici membri è stata ritoccata negli anni 60 e in mezzo secolo i membri delle Nazioni Unite sono arrivati a quasi duecento: la Santa Sede esorta a fare una riforma», sottolinea il cardinale Martino. E quella di Wojtyla contro il mondialismo è stata «una illuminante strategia per lazione, presente e futura, della Chiesa nella società, a partire dallattenzione ai diritti umani e dalla proposta di un umanesimo integrale, aperto al trascendente». Quello di Giovanni Paolo II è stato un attivismo morale più vigoroso di quello dei sui predecessori, teso a far accettare la legittimità della questione morale in seno ai dibattiti secolari. E, sottolinea il cardinale Martino, contro Karol Wojtyla «hanno agito potenti lobbies culturali, economiche e politiche mosse prevalentemente dal pregiudizio verso tutto quello che è cristiano: nuove sante inquisizioni piene di soldi e di arroganza perché contro la Chiesa cattolica e i cristiani ogni metodo è lecito se serve a zittirne la voce; dallintimidazione al disprezzo pubblico, dalla discriminazione culturale allemarginazione». Ne è un esempio la disinvolta e allegra maniera con cui queste lobbies promuovono tenacemente la confusione dei ruoli nellidentità di genere, sbeffeggiano il matrimonio tra uomo e donna, sparando addosso alla vita, fatta oggetto delle più strampalate sperimentazioni”

 Una parola bisogna dirla sulla visione di Europa che aveva Giovanni Paolo II. Come dimenticare il discorso a Strasburgo, al Parlamento Europeo, nel 1988. Il sogno di una Europa riconciliata… Est e Ovest, i due polmoni, ma anche con l’ambiente. Un Papa europeista. È così?

Si. E per capirlo compiutamente scorriamo rapidamente, come in un documentario, i fotogrammi di questa storia. Cominciamo dalla Seconda guerra mondiale, dai due totalitarismi di segno opposto ma di uguale ferocia che si erano succeduti. E, proprio per la conoscenza diretta che ne aveva dovuto fare, in Wojtyla – e sarà uno dei princìpi ispiratori del suo pontificato – si era rafforzata «la sensibilità per la dignità di ogni persona e per il rispetto dei suoi diritti, a partire dal diritto alla vita». Quindi, riprendendo il filo della storia, la spaventosa vicenda della Shoah, i campi di sterminio e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, lEuropa tagliata in due dalla cortina di ferro”, la Guerra fredda… Finché, sul quadrante della storia, era scoccata unaltra data fondamentale: il 9 novembre del 1989. Una data che aveva segnato la fine della divisione del continente europeo. «Una delle più grandi rivoluzioni della storia», aveva commentato Giovanni Paolo II. Anzi, inquadrandola in una dimensione di fede, laveva accolta come un intervento divino: «Come una grazia». In pochissimi anni, era cambiato il corso della storia. Era caduto un impero che sembrava incrollabile. Erano falliti i messianismi politico-economici, avvelenati dalle loro stesse false ricette. E tuttavia, non aiutato”, non sostenuto, e anche non capito da un certo mondo politico, convinto che labbattimento di un sistema” significasse automaticamente il trionfo del sistema” opposto, quel cambiamento – perché, comunque, fu un grande cambiamento – durò poco; o, almeno, non si sviluppò come si sarebbe sperato. Ricominciò la via crucis del mondo contemporaneo. Centinaia di milioni di donne, uomini, e specialmente bambini, ridotti alla fame, alla miseria. Oppure costretti a subire le tragiche conseguenze della esplosione di nazionalismi, di razzismi, di fondamentalismi, di conflitti armati, e infine di un terrorismo, quello islamico, diffuso su scala planetaria. E, nello stesso tempo, una serie infinita di orrori, di veri e propri genocidi. Le pulizie etniche” nellex Jugoslavia. La prima guerra del Golfo. L11 settembre. La strage in Afghanistan. La seconda, ancora più inutile e devastante, guerra del Golfo. E i tanti attentati, dallEuropa allAfrica, allAsia”.

Anche sull’America Latina il Papa Giovanni Paolo II ha ancora qualcosa da dire. Sappiamo, però, quanto fu complicato il suo rapporto con quel continente…

Nel rapporto con lAmerica Latina va fatta piazza pulita di alcuni fraintendimenti. Nella concezione integralmente umana e cristiana di Karol Wojtyla, in ogni economia e in ogni società andavano garantite la destinazione universale dei beni della terra, la garanzia della proprietà privata come condizione indispensabile dellautonomia individuale, il rifiuto di considerare il lavoro come mera merce, la promozione di una ecologia umana, il ruolo sociale dello Stato, la necessità di una democrazia basata sui valori. Nellintervista concessa a Jas Gawronski il 2 novembre 1993 e pubblicata da «La Stampa», Giovanni Paolo II precisò che «il comunismo ha avuto successo in questo secolo come reazione ad un certo tipo di capitalismo eccessivo, selvaggio, che noi tutti conosciamo bene: basta prendere in mano le encicliche sociali, e soprattutto la prima, la Rerum Novarum, nella quale Leone XIII descrive la situazione degli operai a quei tempi». E, proseguì Karol Wojtyla, «lha descritto a suo modo anche Marx e la realtà sociale era quella, non cerano dubbi, e derivava dal sistema, dai princìpi del capitalismo ultraliberale». Quindi «è nata una reazione a quella realtà, una reazione che è andata crescendo e acquistando molti consensi tra la gente, e non solo nella classe operaia, ma anche fra gli intellettuali».Insomma, secondo il Papa cera un «nocciolo di verità nel marxismo e questa non è una novità, è stato sempre un elemento della dottrina sociale della Chiesa, lo diceva anche Leone XIII e noi non possiamo che confermarlo. Del resto è anche quello che pensa la gente comune. Nel comunismo c’è stata una preoccupazione per il sociale, mentre il capitalismo è piuttosto individualista”.

Un altro punto strategico, come hai ricordato prima, è quello dell’incontro di Assisi. Impressionante fu quell’incontro. Un incontro che alcuni, nella Chiesa, tentarono di ridimensionare. Ma che oggi, a distanza di anni, si può ben considerare una pietra miliare per il dialogo e la fraternità tra le religioni. È così?

La Giornata mondiale di preghiera per la pace (onorata dalla sospensione delle guerre in tutto il mondo, non una sola vittima) fu certamente liniziativa più audace, più coraggiosa, più “nuova” di Giovanni Paolo II, ma anche la più contestata. Lo stesso Wojtyla, seppure in tono scherzoso, raccontò di come per poco non lo scomunicassero”. Alcuni cardinali e non pochi curiali protestarono per il presunto sincretismo, per laver messo le religioni tutte sullo stesso piano. Ma non era stato così. Invece, quella Giornata rappresentò come uno spartiacque nella storia dei rapporti tra le religioni, dopo secoli di divisioni, di contrasti, di incomprensioni. Ed è stato un grande merito della Comunità di santEgidio, laver tenuta accesa la fiaccola” di Assisi e averla portata in giro in tutto il mondo. Giovanni Paolo II aveva maturato la convinzione che la sapienza” di Dio, anziché riservata solamente ad alcuni, fosse una porta spalancata a tutti gli uomini. Un punto di convergenza in cui i credenti delle diverse religioni avrebbero potuto riconoscersi come figli di uno stesso Padre e, addirittura, come fratelli . Una preghiera mondiale per la pace In più, cera da tener conto del continuo aggravarsi della situazione internazionale”. Alla fine, Giovanni Paolo II ebbe un quadro preciso, e ruppe ogni indugio: Una preghiera di tutte le religioni per la pace, ecco che cosa ci vuole”. E decise che la città di san Francesco fosse la sede più adatta per un evento del genere. E così fu così. Per la prima volta, il 27 ottobre del 1986, ad Assisi, i rappresentanti di tutte le religioni, ossia di più di quattro miliardi di donne e di uomini, si trovarono a pregare nello stesso luogo, nello stesso momento, per chiedere allAltissimo il dono della pace”. Le preghiere erano diverse. Diverso il modo di pregare. Diverso anche il destinatario”, alcuni rivolgendosi a un Dio unico, altri a un Assoluto impersonale, senza nome”.

E da ultimo il Papa del no alla guerra in Iraq e del dialogo con l’Islam. Cosa resta di questo insegnamento?
Resta limpostazione di fondo. Già nel 1991, in occasione della prima guerra del Golfo, Giovanni Paolo II, proponendo di metter mano a una riforma del diritto internazionale, aveva opposto un rifiuto assoluto al ricorso alle armi come strumento per regolare i rapporti tra gli Stati. «La guerra – diceva – è unavventura senza ritorno».«Non è una fatalità; essa è sempre una sconfitta dellumanità». E, tale convinzione, il Papa laveva immediatamente ribadita al profilarsi del secondo conflitto del Golfo (o guerra dIraq), per il quale non cera più nemmeno l’“attenuante” etica di dover porre rimedio a una invasione, quella del Kuwait. In più, nel giudizio di Wojtyla, questa operazione militare internazionale – per le motivazioni stesse che ne erano allorigine – portava in sé un carico enorme di pericolosità. Per il rischio di nuovi estremismi, e di «tremende conseguenze» sia per le popolazioni dellIraq sia per lequilibrio geopolitico dellintera regione mediorientale. Papa Wojtyla comunque non si era limitato a mettere in guardia i diretti responsabili, Saddam Hussein, presidente Usa e membri del Consiglio di Sicurezza. Si era anche adoperato – con i suoi strumenti”, sia spirituali che diplomatici – per una vasta opera di prevenzione. 113 Aveva proclamato una Giornata di digiuno e preghiera per la pace in Medio Oriente. Aveva parlato di quel gravissimo argomento con molti capi di Stato. E aveva inviato due suoi personali ambasciatori, a Baghdad e a Washington, per un estremo tentativo. Era stato il cardinale Roger Etchegaray, a incontrare i governanti iracheni. I quali, per la verità, si erano detti disposti a collaborare con gli ispettori delle Nazioni Unite (incaricati di verificare che venisse eliminato «ogni motivo di intervento armato»); ma si erano mostrati assai reticenti circa le accuse di possedere le cosiddette«armi di distruzione di massa», e di sostenere il terrorismo islamico. Atteggiamento non proprio negativo, ma fortemente ambiguo e, quindi, pericoloso. Laltro inviato pontificio, il cardinale Pio Laghi, aveva parlato con il presidente americano, George W. Bush. Il quale, senza neppure leggere la lettera inviatagli da Giovanni Paolo II, aveva risposto che comprendeva perfettamente le ragioni morali del Papa (secondo alcune fonti, invece, si sarebbe detto addirittura convinto che fare la guerra allIraq fosse la «volontà di Dio»), ma non poteva ormai tornare indietro. Anche perché aveva imposto un ultimatum di quarantotto ore a Saddam Hussein”.

Ultima domanda : alcuni circoli di cattolici di destra, supportati dai sovranisti, mettono in contrapposizione Giovanni Paolo II e PAPA FRANCESCO. Mi sembra unoperazione scorretta. Per te? 

Euna strumentalizzazione di corto respiro. Chi attacca oggi Bergoglio, criticava ieri Wojtyla. Torno allesempio iniziale. Per la prima volta nella storia, il 27 ottobre 1986, i leader delle grandi religioni mondiali si incontrarono per dialogare e pregare per la pace. Si aprì una nuova stagione di dialogo, che ha contribuito a superare incomprensioni, diffidenze e chiusure. “La pace è un cantiere aperto a tutti”, disse Giovanni Paolo II in un mondo segnato dalle tensioni della guerra fredda. 33 anni dopo Francesco ha chiuso in Vaticano il Sinodo dei vescovi sullAmazzonia. Una coincidenza di date che ha scatenato dietrologie negli ambienti ultra-trazionalisti che accomunano Giovanni Paolo II e Jorge Mario Bergoglio nellaccusa di eresia, sincretismo religioso e negazione del Magistero tradizionale della Chiesa”.

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