La presenza utile (giornalismoriflessivo.blogspot.com)

di Amos Granata, del 18 Dicembre 2018

Marco Lupis

Il male inutile

Dal Kosovo a Timor Est, dal Chiapas a Bali le testimonianze di un reporter di guerra

Mi ha coinvolto. Del resto non può non farlo. Il libro si presenta come un breve riassunto delle esperienze dell’autore come reporter in zone di guerra. Non è scandito da un preciso ordine cronologico, anzi sembra che le varie corrispondenze vengano riportate in base a quel che veniva in mente a Lupis mentre scriveva, almeno così sembra. 
Il libro vuole restituire l’idea di ciò che ha vissuto il reporter negli anni seguendo diversi conflitti, eppure non si presenta come un’autobiografia, al contrario, si presenta come una raccolta di diverse corrispondenze scritte in modo più o meno personale in base al coinvolgimento emozionale di Lupis.
Il titolo richiama lo scopo del libro: sostenere la tesi che tutta la violenza dei conflitti sia inutile. Almeno questo è quello che ho pensato leggendo la prima corrispondenza, quella più forte, da Timor Est. Eppure questo scopo dichiarato già nel titolo, andando avanti nella lettura sembra quasi perdersi, venir meno, per poi delinearsi come maggiore consapevolezza nel finale. Ma proseguiamo con ordine.
Lo stile
La prima cosa che salta subito all’occhio è la chiarezza dei testi: le frasi sono scorrevoli, il linguaggio è semplice ma appropriato e l’obbiettività del reporter si alterna fluidamente al suo pensiero critico e personale. Quest’ultima differenza è spesso resa saltando una riga.
Altro dettaglio da notare è come l’autore cambi registro in base al conflitto, ad esempio quando parla del golpe nelle Figi “Golpisti nel Pacifico”, l’autore utilizza uno stile più veloce e impersonale come se volesse rendere quei giorni di tensione sotto la forma di un elenco, facendoli risultare piuttosto grotteschi. Uno stile simile – anche se decisamente più ironico – è adottato ne “Guida alle vacanze a rischio”.
Al contrario in altri capitoli l’autore fornisce molti più dettagli di natura geopolitica per restituire un quadro più completo al lettore, in particolare in tutti i conflitti legati al terrorismo del sud-est Pacifico, Lupis si sofferma spesso su alcuni punti di collegamento in modo da permetterci di arrivare a unire differenti conflitti in un unico disegno.
Possiamo ritrovare anche un’altra differenza di stile: le interviste. Lupis durante i suoi viaggi ha avuto la fortuna – e il peso – di incontrare anche personaggi che credo gli stessero a cuore, è il caso del subcomandante Marcos, dell’attivista Mireya Garcia e della militante Ingrid Betancourt. In questi resoconti delle interviste fatte, più o meno ufficiali, il giornalista fa trasparire spesso un sentimento di stupore o ineguatezza – entrambi intesi nel senso più positivo possibile – nei confronti di quelle figure così importanti. L’autore permette alle sue emozioni di trasparire, non è un caso che tutte e tre i resoconti si chiudano con una frase forte dell’intervistato. Lupis mostra di essere affascinato da questi personaggi e di rispettarli molto.
Lo scopo
Come già accennato, lo scopo del libro è mostrare quanto le guerra sia dannosa per tutti quelli che ne sono attori o spettatori (come appunto, i reporter).
Il libro si apre con un capitolo molto impegnativo emotivamente sia per l’autore che per lo scrittore ma progressivamente perde intensità altalenando momenti drammatici a situazioni più leggere e positive. Questo non solo per rendere più scorrevole la fruizione dell’opera, ma anche per trasmettere un senso di ineluttabilità che ha accompagnato Lupis nei suoi viaggi per il mondo. Il male inutile non si può evitare in modo semplice. 
L’enfasi su questo aspetto la pone lo stesso Lupis nei capitoli finali del libro: La convivenza con i ricordi inaccettabili, con lo stress protratto per mesi e anni, con il senso di pericolo e – mi fecero notare alcuni – con l’ansia e la frustrazione derivante dal senso di impotenza generato dalla consapevolezza – anche soltanto inconscia – di non poter far nulla per cambiare le cose terribili viste e testimoniate (Lupis, p.450). Un altro aspetto che serve a porre enfasi sull’ineluttabilità dei conflitti riportati, sono le conversazioni che Lupis ha con le sue varie redazioni: “rientrai su ordine della redazione” compare più volte nel testo declinata in varie forme.
Il finale è la raison d’être del libro. Nell’ultimo capitolo Lupis inizia a scrivere il libro e riesce a trovare una pace nei suoi ricordi, comprende il «perché» dei suoi viaggi, capisce che ha fatto il reporter per aiutare gli ultimi, quelli che fanno le spese dei conflitti di cui troppo spesso se ne parla in modo sterile. Il male inutile appare come un manifesto dell’utilità del giornalismo di guerra. Marco Lupis ci lascia con questa frase: Era grazie a loro e a quelli come loro, che il mondo poteva ancora essere, malgrado tutto, «quel posto bello, accogliente e dignitoso che avevo creduto». Io verrei chiudere con quello che diceva il subcomandante Marcos, che mi pare possa adattarsi bene al ruolo del reporter di guerra: La nostra è una lotta per la sopravvivenza e per una pace degna. La nostra è una lotta giusta (Lupis, p.232).

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