Da Il Quotidiano del Sud del 7 aprile
“Qualcuno era comunista”, cantava Giorgio Gaber nel 1992, all’indomani del crollo del sogno del socialismo reale, che tanto seguito produsse in una città che fu definita Stalingrado d’Italia. Cosa rimane di quella stagione, e dovremmo oggi mutuare? Maurizio Mesoraca si tesserò alla Federazione giovanile comunista italiana nel 1962, dunque l’ex senatore tenta di rispondere a tale quesito. Mesoraca fu senatore dal 1987 al 1994, e visse dunque il travaglio del passaggio di un’epoca, ma è solo parte di ciò che racconta ne “Riprendiamoci il futuro”, edito da Rubbettino, che ha come sottotitolo “Politica e sinistra prima e dopo il 1989”. Quell’anno rappresentò una cesura della Storia, ma non una cesura ideale giacché è l’idea, ancor prima dell’ideologia, a permanere in Mesoraca, per il quale occorre «raccogliere l’eredità» del Pci. Quattro le grandi riforme che si produssero per iniziativa anzitutto del fronte comunista, scrive Mesoraca nel suo libro: suffraggio universale; riforma agraria; scolarità di massa; Statuto dei lavoratori. L’autore ha dialogato, presso la sala consiliare del Comune, moderati da Virgilio Squillate, con Francesco Forgione, già presidente della commissione parlamentare antimafia, e con Vittorio Emanuele Esposito, rettore dell’Upmed. Se, prima del 1989, a suggellare il legame fra il partito e la celebrata “base” fu «il rapporto con la classe operaia», la colpa degli eredi del partito – oggi spostatosi al centro, «abdicando al suo ruolo», argomenta Mesoraca – è stata non aver disegnato «una alternativa al modello neoliberista», piegarsi «ai processi internazionali», tipicamente «economici». Tra ricostruzioni storiche e ricordi personali, il lavoro di Mesoraca dedica capitoli anche a Dc, Psi, Psdi e Pli (con il Pri, il vecchio Pentapartito). Vittorio Emanuele Esposito, dopo aver ricordato l’apporto ideale di un’altra sinistra, quella del Partito d’Azione, a cui la Resistenza, prima, e la scrittura della Costituzione poi, debbono grande merito, ha rievocato quando il territorio si stagliò nel teatro nazionale, citando i moti di Melissa che sancirono «il superamento di una società ancora semifeudale». Oggi c’è chi preferisce Marchionne ai sindacati, precisa Francesco Forgione. Sicché esiste «un popolo di sinistra senza rappresentanza». Il Pd «è silente» sulle condizioni del Mezzogiorno: dibattito invece oscurato «da un ventennio di questione settentrionale», alle cui logiche il Pd stesso si è piegato, sostiene Forgione. Intermezzi musicali erano a cura del liceo musicale dell’istituto Gravina.
di Antonio Oliverio
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