Dal Corriere della Sera del 21 giugno
La Seconda Repubblica è finita. Consegnata alla storia. Analizzata nei suoi difetti e nelle sue ossessioni. Ha , rappresentato una catastrofe: la Catastrofe della politica nell’Italia contemporanea, come recita il titolo del libro di Giovanni Belardelli (pagine 97, Euro 12) pubblicato in questi giorni da Rubbettino. La «catastrofe della politica» è qualcosa di più ampio e onnicomprensivo della crisi della democrazia. La crisi della democrazia è principalmente crisi di sovranità. Le decisioni più importanti sono sempre meno nelle mani dei governi democraticamente eletti. Il «fiscal compact» che dovrà obbligatoriamente essere adottato dai governi europei, pena l’uscita dalla moneta comune e l’emarginazione nazionale, è il sintomo della crisi della democrazia, perché chi decide, in un’Europa in cronico deficit di legittimazione democratica, non risponde a chi lo ha eletto, ma agisce secondo logiche che sfuggono al controllo degli Stati nazionali. La crisi della democrazia è anche crisi del diritto. Che viene demandato alla gestione di organismi internazionali inseriti in una dimensione universale in cui gli Stati-nazione, espressione della democrazia, contano sempre meno.
La crisi della politica, anzi la «catastrofe della politica» analizzata da Giovanni Belardelli, è invece il soccombere della politica rispetto a concetti e giudizi che ne invadono il territorio, annullandone l’autonomia e la forza. La Seconda Repubblica, dice Belardelli, si è incardinata sul dualismo manicheo berlusconismo-antiberlusconismo. Ma in questa dicotomia la politica ha smarrito la sua specificità. Non si era berlusconiani o antiberlusconiani per ragioni politiche, ma per ragioni morali, caratteriali, addirittura antropologiche.
Belardelli è uno studioso attento delle culture politiche che hanno orientato l’Italia, dall’Unità ai nostri giorni. Ricostruisce la genealogia intellettuale di un atteggiamento punitivo che alcuni italiani anti-italiani, protagonisti indiscussi della nostra cultura nazionale, hanno maturato nei confronti dei connazionali anti-italiani. Nella contrapposizione tra un’Italia civile e di minoranza contro un’Italia sguaiata e amorale, un’Italia severa e onesta contro un’Italia cialtrona e disonesta dì ritrova la matrice dì una pretesa dì superiorità morale che è stata in questi due decenni il fulcro della retorica anti-berlusconiana. Forse si è liquidato il berlusconismo come categoria esclusivamente politica, ci si è misurati con l’idea berlusconiana di uno Stato meno invadente, di una dimensione individuale meno asfissiata dai controlli e dai vincoli dello statalismo, di una liberazione dal carico smisuratamente oppressivo del fisco? No, l’anti-berlusconismo ha sempre considerato il bagaglio ideologico berlusconiano come una finzione retorica per nascondere la vera natura «criminale» della sua identità, o addirittura come veste teorica di un illegalismo radicato in un’antropologia irredimibile. Anche l’abuso della «questione morale» di conio berlingueriano ma fatto proprio dalla cultura post-comunista ha funzionato come carburante ideologico di una sostituzione della politica con una forma chiassosa di intransigentismo etico. È questa cancellazione della dimensione politica a tutto vantaggio di un integralismo morale (e moralistico) che annette al potere giudiziario una missione esorbitante: non già il perseguimento di reati specifici fondato sull’idea della responsabilità penale personale, ma come purificazione preventiva, sradicamento di un Male da estirpare con la forza delle azioni giudiziarie. Ed è questo trasferimento del «relativo» proprio della politica nell’«assoluto» della morale ad aver alimentato quella che Belardelli definisce «guerra civile fredda» lungo tutto l’arco temporale della Seconda Repubblica: una lotta senza quartiere che non è, come nelle politiche democratiche, battaglia anche aspra tra due avversari che si riconoscono reciprocamente pari legittimità, ma guerra tra nemici che invocano il reciproco annientamento. La Seconda Repubblica, appunto, sta consumando la sua agonia, e la contrapposizione tra berlusconismo e antiberlusconismo sembra decisamente alla fine. Si tratta di vedere se nel nuovo assetto che si sta confusamente formando, il vizio antico di soppiantare la politica con la fanatica assolutezza della battaglia morale tra due Italie irriducibili l’una all’altra non si riproponga in forme nuove. Sarebbe una catastrofe. Non solo una «catastrofe della politica». Ma una catastrofe nazionale.
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