da www.redattoresociale.it
Nelle pagine del volume, Salvatore Ferraro analizza e sviluppa la teoria della “pena visibile” proponendola come modello alternativo a quello tradizionale della pena detentiva, di cui si denuncia espressamente l’avvenuto fallimento. A dimostrazione di tale tesi si esprimono chiaramente gli aspetti “paradossali e contraddittori” del modello carcerario, a vantaggio del nuovo modello della “pena visibile” che si caratterizza per la dichiarata dissoluzione dell’ambiente carcerario atta a favorire la creazione e lo sviluppo di un nuovo ambiente responsabilizzante e “condizionante” per favorire una maggiore consapevolezza, da parte dello stesso reo, del disvalore sociale dell’azione delittuosa. A questo scopo, nella parte iniziale del testo viene analizzata compiutamente la criticità del modello carcerario, in particolare l’inefficacia e la mancata fondatezza di alcuni strumenti di controllo e gestione della detenzione, che si usano regolarmente in carcere, come ad esempio la denudazione del reo al suo ingresso nell’istituto di pena, accompagnata, in alcuni casi, anche da “ispezione anale” (a scopo di sicurezza e controllo preventivo). Tutto ciò, secondo l’analisi dell’autore, porta ad un progressivo quanto decisivo svilimento della portata e dell’efficacia della stessa pena, basata essenzialmente, secondo il nostro ordinamento, sulla privazione della libertà del detenuto, che in questo caso, si rileva passare in secondo piano rispetto alle vessazioni sopra citate. Nella parte conclusiva il volume propone all’attenzione del lettore una compiuta descrizione del modello sanzionatorio della “pena visibile” caratterizzato da un meccanismo “aperto e sociale” dal quale sono esclusi gli individui che commettono reati ad alta pericolosità sociale come ad esempio l’omicidio e la pedofilia. Secondo alcuni dati contenuti nel libro, mantenere un detenuto in carcere costa in media 150 euro al giorno e negli ultimi 10 anni per sovvenzionare il sistema carcerario tradizionale, sono stati spesi in Italia complessivamente 29 miliardi di euro. Per sostenere invece la “pena visibile” sarebbero sufficienti solo la metà dei fondi necessari a sostenere il sistema italiano tradizionale. In definitiva la “pena visibile” destinata ai detenuti non pericolosi, pari al 94,5% della popolazione carceraria italiana (stima del 2012) sembra essere la più adatta verso un reinserimento efficace nel tessuto sociale di riferimento, in quanto la pena in questo caso è nella società “fuori dalle mura del carcere”.
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- www.redattoresociale.it 2013.11.28
La pena visibile. O della fine del carcere