Thomas Mann / Luchino Visconti: un confronto
a cura di Francesco Bono, Luigi Cimmino, Giorgio Pangaro
da Il Gazzettino del 1 Luglio
“Der Tod in Venedig” è uno dei romanzi più famosi di Thomas Mann ed è stato pubblicato nel 1912, quando il grande scrittore tedesco aveva poco più di 30 anni. “Morte a Venezia” è uno dei film più famosi di Luchino Visconti, uscito nelle sale nel 1971 e presentato in concorso a Cannes, dove vinse il premio speciale del 25° anniversario. In questi giorni, per Rubbettino (euro 14) esce un interessante volume dal titolo “Morte a Venezia – Thomas Mann/Luchino Visconti: un confronto”, con il quale i curatori Francesco Bono, Luigi Cimmino e Giorgio Pangaro affrontano, raccogliendo vari interventi di studiosi, l’annosa (e spinosa) dialettica tra cinema e letteratura, dove la “traduzione” visiva di un romanzo, ancora più se celeberrimo come questo, va incontro inevitabilmente a una serie di paragoni, che spesso non portano a niente, perché si tratta comunque di due mo(n)di diversi di comunicare. Eppure l’interesse, anche a distanza di così tanto tempo dall’uscita del film, di uno studio meticoloso sulle due opere, sta proprio in quel confine, anche quando il lavoro di Visconti si potrebbe dire quasi fedelissimo allo scritto di Mann, ma, come dicono i curatori, è proprio quel “quasi” a stimolare la ricerca. A cominciare, si potrebbe dire, da quel sintomatico abbandono da parte del regista dell’articolo “La” nel titolo, che, com’è evidente, cambia la prospettiva delle cose. Lo studio parte dai rapporti dei due artisti, dal loro incontro nel 1955 a Roma per discutere dell’adattamento in scena del racconto “Mario e il mago”, un rendez-vous in ritardo di quello possibile molti anni prima al Lido, dove Mann si trovava con la famiglia, contemporaneamente a quella di Visconti, allora bambino. E proseguendo nella lettura appare evidente come il fulcro del saggio parli più delle affinità/diversità tra i due grandi artisti, più che del rapporto letteratura/cinema e arte/vita (che è alla base sia del romanzo, che del film).
Certo la presenza di un regista come Visconti amplifica ogni assonanza: nessuno come lui ha dimostrato un’attitudine traspositiva di romanzi celebri e tutta la sua opera, da “Ossessione” a “Senso”, da “Lo straniero” a “La terra trema”, fino ovviamente a “Il Gattopardo”, è intrisa di rimandi letterari, ponendo la letteratura a “risorsa primaria” del suo cinema. Diviso per capitoli e temi, il saggio scivola dalle contrapposizioni più generali (e a volte più ovvie), come quando le immagini assumono inevitabile forza evocativa, anche grazie allo straordinario apporto della musica di Mahler (altra presenza “ingombrante” in una sorta di ménage à trois), a quelle più complesse come la descrizione di Venezia da parte di Mann e alla scelta delle immagini per compiere la medesima operazione da parte di Visconti. O come quando l’apporto omofilo, sconfina più in una dimensione omoerotica, che si sente maggiormente nel film e che Visconti forza, spingendo anche una matrice allusiva di seduzione, nei confronti dell’anziano professore da parte del giovane Tadzio, dunque tutt’altro che innocente. O come il senso cimiteriale del film, evidente dall’inizio più che nel romanzo. In realtà, come appare evidente, il problema principale sembra essere, a un certo punto, proprio Venezia, come si interroga Matteo Galli quando affronta “lo sguardo di Aschenbach”, soprattutto perché rispetto al testo letterario di inizio secolo, la presenza di Venezia nel cinema già negli anni ’70 era piuttosto “eccessiva”. Il saggio si conclude con una raccolta di critiche dell’epoca, senza dimenticare che un apporto fondamentale nel film arriva anche da quell’attore meraviglioso che è Dirk Bogarde.
di Adriano De Grandis
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di Adriano De Grandis