da Altreconomia del 1 Dicembre
Enzo Ciconte, storico e docente universitario: “La ‘ndrangheta ormai primeggia. E una politica debole rafforza la criminalità organizzata”
Scordiamoci la coppola storta e la lupara. Questa mafia appartiene al passato. Pensiamo, al contrario, a persone che si presentano ben vestite, che parlano più di una lingua straniera, che sanno maneggiare e investire soldi, tanti soldi, che navigano in internet, che allacciano e intrattengono rapporti con avvocati, commercialisti, imprenditori, direttori di banca, politici. Che siedono in consigli di amministrazione. Che vivono e fanno affari, leciti e illeciti, in tutta Italia e in altri Paesi europei ed extraeuropei.
Ecco il nuovo volto delle mafie italiane, in particolare della ‘ndrangheta. Enzo Ciconte, storico e docente universitario, è da anni impegnato nello studio della genesi e dello sviluppo della ‘ndrangheta. Con lui cerchiamo di capire come sia stata possibile questa metamorfosi e come la mafia calabrese abbia potuto “colonizzare” il Centro-Nord d’Italia – come ha recentemente scritto la Direzione nazionale antimafia.
Ogni giorno nel Centro-Nord si sequestrano beni alla ‘ndrangheta. Come è stata possibile questa diffusione della mafia calabrese sul territorio?
I segnali di questa diffusione c’erano tutti e da tempo. Tuttavia, negli ultimi tredici anni, nei tribunali del Centro e del Nord Italia, non è stato applicato, se non raramente, l’articolo 416-bis del codice penale, quello che definisce e sanziona la fattispecie di reato di associazione a delinquere di tipo mafioso. Per la magistratura di certe aree, quindi, fino a qualche tempo fa al Nord la mafia non esisteva.
Per quali ragioni?
I motivi sono diversi. Innanzitutto, per molto tempo è prevalsa l’idea che quello della mafia fosse un problema esclusivamente del Mezzogiorno e del suo sottosviluppo. Al Nord, inoltre, si sono costituite delle reti imprenditoriali che hanno strumentalmente alimentato questa idea, allo scopo di poter fare i loro affari con i mafiosi senza troppi problemi. Mafiosi e imprenditori si sono cercati – e si cercano – reciprocamente. Penso al recente sequestro di un hotel di lusso a Roma, al Gianicolo, e ai sequestri del Cafè de Paris in via Veneto e del Bar Chigi, tutti immobili situati nel centro della nostra capitale. Questa è la conferma che la ‘ndrangheta ha mirato all’acquisizione dei gioielli di una grande città, di alcuni suoi luoghi simbolici.
L’acquisizione di questi immobili di lusso è certamente funzionale al riciclaggio di ingenti somme di denaro, ma non solo.
I mafiosi sono interessati sia a ripulire grandi capitali in tempi rapidi sia ad acquisire immobili e attività che permettono loro di entrare in relazione con persone che, per il mestiere che svolgono, possono essere utili per fare affari e cercare l’impunità. E poi c’è il prestigio – enorme – ricavato da tali acquisizioni. E il prestigio è impagabile.
Possiamo confermare che la ‘ndrangheta è attualmente l’organizzazione mafiosa più potente?
Purtroppo questo è vero e le ragioni di questa supremazia sono diverse. Intanto, la ‘ndrangheta è ancora oggi la mafia meno conosciuta e sulla quale si sono svolte meno indagini, rispetto alle altre compagini criminali. La mafia calabrese, inoltre, si fonda sulla famiglia naturale. Questo non solo la rende più impermeabile alle inchieste delle forze dell’ordine e della magistratura ma, nel tempo, le ha consentito di inserirsi in contesti al di fuori della Calabria grazie al suo inserimento nei flussi migratori dal Sud al Nord d’Italia. Da ultimo, va ricordato che da circa venti anni, approfittando del duro attacco dello Stato contro Cosa nostra siciliana dopo le stragi dei primi anni novanta, la ‘ndrangheta è diventata leader del mercato della cocaina. Questo le ha consentito di accumulare ingentissimi capitali che richiedono di essere investiti, soprattutto nell’economia legale.
In Lombardia, dopo l’arresto di un ex assessore regionale, alcune settimane fa è stato sciolto per mafia il comune di Sedriano (Mi). Si tratta del primo caso per questa regione e del quinto nel Nord Italia.
Nell’ultimo ventennio la politica è cambiata radicalmente. I partiti che conoscevamo un tempo sono scomparsi e si è fatta largo la politica degli individui. Di conseguenza, chi si candida non ha più alle spalle una macchina organizzativa che, come un tempo, gli assicurava voti e reti di relazioni. Oggi i singoli candidati sono in balia di se stessi e la ‘ndrangheta, nel Nord Italia, si è inserita nel mercato politico come unico soggetto criminale capace di offrire consenso elettorale. Non si dimentichi che nel Centro-nord qualche anno fa ci sono stati due Comuni che non sono stati sciolti per mafia perché i membri delle maggioranze che sostenevano i sindaci si sono dimessi prima. Si tratta di Fondi, nel Lazio, e di Desio, in Lombardia.
Che cosa garantisce la mafia calabrese?
La possibilità concreta di vincere. Vincere le elezioni è l’obiettivo che molti candidati ricercano. A tutti i costi. La ‘ndrangheta è l’unica organizzazione mafiosa che è riuscita a far eleggere sindaci e consiglieri comunali e regionali nel Nord d’Italia.
Perché non si è mai riusciti a spezzare definitivamente il rapporto tra mafie e politica in Italia?
Questa è una domanda che avrebbe bisogno di un libro come risposta. Possiamo dire che nella storia del nostro Paese sono emerse delle zone d’ombra e delle zone oscure che hanno alimentato, e alimentano, il rapporto mafia e politica. Basti pensare che ancora oggi è in corso un processo per verificare se vi siano stati rapporti tra pezzi dello Stato e pezzi della mafia in relazione alle stragi del 1992-1993. Per rompere i legami tra mafia e politica dobbiamo scoprire la verità su come sono andate determinate vicende della storia della nostra Repubblica. La politica deve liberarsi dai rapporti osceni con i vari mafiosi disseminati un po’ dappertutto e poi deve adoperarsi sia per migliorare alcune leggi esistenti, a partire dal cosiddetto Codice antimafia approvato nel 2011, sia per portare a livello internazionale la legislazione antimafia italiana, che è la migliore al mondo. Gli imprenditori devono evitare di fare affari con i criminali, di servirsi di loro, di accettare i loro denari. A livello sociale, infine, occorre contrastare quella che io chiamo “la moda della lotta alle mafie”. Non serve a nulla organizzare dibattiti fini a se stessi, così come non aiutano a capire il fenomeno e come reagire a esso tutti quei libri e quegli articoli che riportano esclusivamente il copia/incolla dei testi di alcuni atti giudiziari. Serve una riflessione attenta, acuta, scientificamente valida. E sul territorio c’è bisogno di inchieste vere.
Cosa significa concretamente e come si può tradurre nella quotidianità il “fare antimafia”?
Significa individuare e denunciare, nelle singole località e prima dell’intervento della magistratura, una serie di situazioni che presentano delle criticità. Vorrei ricordare che le prime commissioni antimafia ricevevano dei dossier di documentazione su affari sospetti da parte dei sindacati e delle articolazioni territoriali del Partito comunista italiano. Pio La Torre viene da quella esperienza. Non era un’invenzione di qualche trasmissione televisiva di successo. Oggi, al contrario, pare che si debba aspettare il pentito di turno per scoprire che per anni si sono fatti scavi enormi e si sono interrate quantità incredibili di rifiuti tossici in alcune regioni italiane. Possibile che nessuno abbia visto niente in vent’anni? C’è qualcosa che non funziona.
Quanto oggi è diffuso il consenso sociale verso le mafie in Italia?
Io penso che ci sia una parte importante della società italiana che esprime consenso verso la “cultura” e il metodo mafioso. Per ridurre questo consenso c’è bisogno di uno Stato autorevole, che in modo tangibile dimostri di fare bene il proprio dovere: adoperarsi per la sconfitta delle mafie. Io mi chiedo: perché lo Stato, a partire dal piano militare, non mette in campo tutte le sue risorse contro le mafie? Purtroppo i rapporti tra mafie e politica, come ho già detto, esistono e incidono ancora oggi nella realtà del nostro Paese. E la politica italiana oggi è in grande crisi. Una politica debole rafforza le mafie. Non possiamo non tenere conto di questo aspetto.
di Pierpaolo Romani
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