da ItaliaOggi del 3 Luglio
Salito alla presidenza dell’Abí, l’Associazione bancaria italiana, dopo l’affaire Monte dei Paschi, quando il presidente dell’epoca, Giuseppe Mussari, finì nei guai e rassegnò le dimissioni, Antonio Patuelli è innanzitutto un liberale. Prima che il partito di plastica, con un colpo di mano mediatico, prendesse il posto del partito liberale e ne straziasse la memoria, Patuelli era il vicesegretario del partito di Luigi Einaudi, Benedetto Croce e Olindo Malagodi. È anche per questo (perché da noi non c’è quasi più traccia di cultura liberale, e non soltanto perché il debito pubblico galoppa, o perché le famiglie toccano ferro e l’economia arranca) che «l’Italia si è impoverita», come scrive Patuelli in Banche, cittadini e imprese (Rubbettino 2014, pp. 122, 9,00 euro, ebook 4,99 euro).
Sale lo spread culturale del paese, e sono dolori. Nel mercato politico delle nazioni evolute, l’Italia rischia l’isolamento che si riserva ai paesi che ignorano le buone maniere in materia di fisco, di costo del lavoro, di servizi, di trasporti, di tempi della giustizia. Non di meno, dice Patuelli, il paese, adesso, ha il vantaggio d’un sistema economico finalmente liberalizzato (dopo l’ubriacatura statalísta iniziata col fascismo, proseguita con l’ala mistico-sociale della Democrazia cristiana e col centrosinistra, quindi col compromesso storico, con gli Ulivi e le Case della libertà, un’ubriacatura ancora non del tutto smaltita).
E’ stato liberalizzato, all’interno del sistema economico, anche il sistema bancario, di cui Patuelli tesse un convinto elogio e del quale ripercorre a grandi passi la storia dall’Unità a oggi. Mentre «il “miracolo economico” degli anni cinquanta», scrive il presidente dell’Abi, «realizzò una ripresa importante, ma ancora su basi fragili e senza una diffusa cultura del mercato e delle imprese, che quasi per tutto il Novecento in Italia è stata fortemente osteggiata da più parti», oggi tutto è cambiato, e cambiato in meglio. «Non ci sono più quei sistemi di salvataggio delle aziende in crisi che hanno caratterizzato e fortemente condizionato il capitalismo nazionale: non ci sono più la Gepi, l’Efim e gli altri organismi del genere di cui non abbiamo nostalgia. Non ci sono più nemmeno le banche pubbliche, peraltro anche meritevoli e prestigiose, privatizzate nell’ultimo ventennio, ma prima d’allora prevalenti nel nostro paese e che spesso venivano ricapítalízzate a fondo perduto dallo stato, con risorse pudicamente definite “di dotazione”».
Un altro vantaggio, continua Patuelli, è l’esistenza dell’euro, la cui «creazione ha un significativo precedente nella nascita della lira italiana dopo la Seconda guerra d’indipendenza. Prima di allora l’Italia», come l’Europa prima che l’UE e l’euro ne scombinassero le frontiere, «era divisa in sette tra stati e staterelli, dove le rispettive zecche coniavano monete sulla base di distinti parametri». Fu a conclusione d’una cruenta campagna militare che la lira piemontese diventò la moneta dominante, mentre con l’euro, «per la primavolta, una moneta si è affermata non dopo una conquista militare, non dopo la annessione d’uno stato a un altro, ma per libera scelta di stati e popoli. L’euro è la prima moneta sovrannazionale che non è “conseguenza” dell’esistenza d’un vero e proprio Stato, non è espressione di una sovranità».
Non basta: l’euro è «anche il frutto del sostanziale trattato di pace europeo realizzato dopo la fine di quarant’anni di guerra fredda e di un’Europa divisa drammaticamente in due, dopo la rovinosa seconda guerra mondiale. La caduta del muro di Berlino nel 1989 favorì, infatti, la pacifica riunificazione di una Germania non solitaria, ma ancor più fortemente integrata in un’Europa unita innanzitutto economicamente da una moneta unica comune, l’euro». Una moneta in affanno ma nata per il comune vantaggio, liberalizzazione del mercato e privatizzazione delle banche, più attente ai diritti dei risparmiatori che alle prevaricazioni degli sponsor istituzionali: è una base solida, secondo Patuelli, per costruire un paese meno precario, meno in balia degli eventi imprevedibili (e ce n’è sempre uno sull’orizzonte).
Regole nuove e liberali per banche, imprese e famiglie. «Soltanto con alti ideali e forte spessore etico», scrive Patuelli, «potrà germogliare una più forte tensione morale e spinta decisa per superare la crisi di questi anni. Dalla crisi e dalle crisi si esce con orizzonti lungimiranti, con un’etica diffusa, con una continua, razionale e responsabile attenzione alla riduzione dei costi e con […] comportamenti più virtuosi, più sobri e solidali».
di Diego Gabutti
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