L'attrazione fatale per la giustizia sociale e la molla di una nuova rivoluzione globale
Una democrazia capace di esprimere proprie leggi invece di farsele imporre da forza a esse esterne; uno Stato ben funzionante e non invasivo; un mercato libero e competitivo che contribuisca al miglioramento della convivenza civile: tutto questo allo scopo di ripristinare l’equilibrio perduto tra le istituzioni di base del sistema delle libertà individuali e cioè di Stato, Mercato e Democrazia.
Si chiude così il testo di accompagnamento al volume “Dalla fine del laissez-faire alla fine della liberal-democrazia” scritto da Paola Savona e pubblicato da Rubbettino nel marzo 2016.
Da quel momento sono passati quasi quattro anni durante i quali l’Italia ha sperimentato, in ordine di tempo, i governi democratici di Matteo Renzi e Roberto Gentiloni cui sono succeduti, dopo un robusto rimescolamento delle carte elettorali, i due esecutivi di Giuseppe Conte: il primo alla testa di una coalizione gialloverde (5Stelle e Lega), il secondo alla guida di un’alleanza giallorossa (5Stelle e Pd).
Che c’entra il libro di Savona – oggi alla presidenza della Consob dopo essersi dannato per qualche mese come ministro degli Affari europei – con quello che è successo dalla sua messa in circolazione ad oggi? C’entra, perché è accaduto esattamente il contrario di quanto auspicato: lo Stato è diventato più invasivo che mai soprattutto nei campi della giustizia e dell’economia, il Mercato è visto con sospetto crescente per i fallimenti che ha subìto senza mai potersi esprimere al meglio, la Democrazia è sempre più vissuta come un ingombro per la manifesta incapacità di trovare risposte efficienti ed efficaci ai problemi di cittadini che si sentono traditi e abbandonati.
Certo, ci sono le lodevoli eccezioni di cui ha parlato nel messaggio di fine anno il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e vale oro l’invito rivolto a tutti gli italiani a coltivare i sensi della fiducia, della speranza e della responsabilità. Ma non possiamo negare che i sentimenti largamente dominanti siano invece condizionati dalle opposte qualità: sfiducia, rassegnazione e una buona dose d’irresponsabilità.
E abbiamo potuto costatare come tutti i commentatori che si sono esercitati a riassumere i termini della situazione a cavallo del vecchio e del nuovo anno abbiano rimarcato che cresciamo meno di tutti i nostri partner europei, che la produttività del sistema è al palo, che deficit e debito aumentano più del dovuto mentre il lavoro, in particolare quello giovanile, continua a latitare.
Tutto questo nonostante che il Paese abbia buone pedine da giocare sullo scacchiere internazionale e che il resto del mondo ci attribuisca doti e capacità che non immaginiamo più di possedere. Ci siamo talmente persi nel labirinto delle nostre insoddisfazioni da aver perso lo smalto intellettuale e di laboriosità per il quale siamo stati ammirati in passato.
Siamo, sì, i nipotini di Leonardo, Dante e compagnia bella ma più che emularne i primati ci limitiamo a ricordarne i fasti senza essere in grado di riprodurli. Siamo ancora un grande popolo, ricco e rispettato, ma caduto in depressione. E così impaurito del futuro da preferire spartirsi il patrimonio accumulato, come se non ci fosse un domani, invece che provare a incrementarlo.
Rimettere in equilibrio Stato, Mercato e Democrazia non sarà facile ma senza il sostegno di questi tre pilastri nessuna società occidentale potrà conservare la prospettiva di prosperare nel contesto libero e liberale che ci siamo guadagnati al costo di molti sacrifici e grazie a scelte intelligenti che abbiamo saputo compiere.
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