La lettura del libro di Domenico Talia, intitolato La società calcolabile e i big data (Rubbettino), mi ha offerto alcuni spunti di riflessione che metto qui per iscritto. Dunque, chiediamoci, come accostarsi a questo tema? Dalla prospettiva particolare che guarda all’impatto dei Big Data sul turismo, dal modo in cui questo “argomento” ha rivoluzionato il nostro lavoro, la nostra quotidianità e il mondo imprenditoriale. Prima di tutto, se non avete mai sentito parlare di Domenico Talia, potete trovate alcune notizie sul nostro autore qui, e in merito alla sua attività di ricerca qui (sono certo che non vi annoierete). E, se dopo questi rimandi siete ritornati alla lettura del mio articolo, beh, non mi resta che introdurvi il concetto di società calcolabile. Si tratta di un’idea antica ma sempre attuale, nata assieme alla stessa sociologia. Il motto positivista – “vedere per prevedere” – si è rafforzato all’interno della rivoluzione digitale; le piccole variazioni concettuali su questo tema non sono state poi così incisive. In sintesi: “Ordem e progresso”, proprio com’è scritto sulla bandiera del Brasile. Così, oggi, l’onnipotenza degli algoritmi e la cospicua disponibilità di dati, ci hanno spinti sempre più verso il desiderio di calcolare il futuro, e di farlo in maniera efficiente.
E arriviamo ai Big Data: si tratta di un’insieme di dati di grandi dimensioni, generati da noi, aggiungerei. Poiché le pagine di Facebook alle quali abbiamo messo un like, la pubblicità che abbiamo guardato per più di 10 secondi, le parole usate per la recensione di un albergo e il voto che gli abbiamo assegnato dopo un nostro soggiorno generano informazioni. Le operazioni che compiamo, tutte, finiscono nella memoria di qualche computer, sono poi rielaborate e riutilizzate per ottenere informazioni. In una parola? «I dati siamo noi», come ha detto Alexander Jaimes (Yahoo! Research) in una delle sue recenti conferenze. I dati raccolti possono essere strutturati o meno strutturati ma, in questo contesto, tutto è utile, nel senso che tutto fa brodo. Non entrerò in tecnicismi (anche se importanti), non in questa sede.
Come anticipato, i miei sforzi si concentrano sul dire qualcosa in merito all’impatto dei Big Data sul turismo. Un settore che, credetemi, non può fare a meno dell’innovazione tecnologica del digitale. Il turismo, oggi, si misura, e questo non deve spaventare. Prendiamo il caso del boom degli asiatici che visitano l’Europa. Non tutte le regioni del Belpaese hanno potuto (o saputo) approfittarne. Non è pensabile, per esempio, che la regione Calabria punti a diventare un’attrazione per i cinesi, che non amano il mare, hanno delle abitudini culinarie radicalmente opposte e sono molto, molto esigenti in tema di mobilità. Basterebbe compiere una piccola ricerca in merito per ottenere dei dati certi.
Nel mio ultimo articolo vi avevo parlato del “caso Dublino”. Gettiamo un rapido sguardo alla strategia di marketing di Airbnb su Pinterest: si moltiplicano le bacheche intitolate Ireland for Everyone e si intuisce il tipo di ricerca compiuta. Quindi anche le problematiche riscontrate nella lettura dei dati. E poi l’idea della riduzione dello stress dell’utente/acquirente (for everyone, per tutti). Questo è certamente un esempio di società calcolabile, nonché un caso di impatto dei Big Data sul turismo e le sue strategie.
Se, da un lato, dobbiamo ammettere che la concorrenza sulle offerte turistiche è a dir poco spietata, dall’altro non c’è struttura o istituzione che possa considerarsi esente da colpe. Certo, la lavorazione dei Big Data non è semplice, soprattutto a causa del problema della varietà dei dati. Ma dobbiamo iniziare a curare (molto) l’offerta, misurare le reali ricadute economiche di un evento, l’andamento dei flussi dei visitatori, ecc. Questo significa, semplicemente, attrezzarsi per competere con i più grandi, e quindi ottenere vantaggi significativi (se usati con giudizio).
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