Da Libero Quotidiano del 14 luglio
Eugenio di Rienzo è docente di Storia moderna alla Sapienza di Roma. Andrei Kurkov è un giornalista, scrittore e sceneggiatore di lingua russa e nato in Russia, ma che da piccolo si è trasferito a Kiev, dove si è laureato e vive ancora. Andrea Sceresini e Lorenzo Giroffi sono due giornalisti freelance, rispettivamente di Sondrio e di Caserta. In libreria, propongono tre diversi punti di vista sulla crisi ucraina.
Di Rienzo sostanzialmente dà ragione a Putin. Il titolo Il conflitto russo-ucraino (Rubbettino, pp. 110, euro 10), riconosce in effetti che Mosca sta dentro fino al collo nella vicenda. Secondo lui, però, è inutile stare dietro alle opposte retoriche. La sostanza è che in Ucraina è in corso uno scontro geopolitico in cui Washington punta a indebolire la potenza russa, e il Cremlino percepisce giustamente questa mossa come una minaccia alla sicurezza nazionale. Maidan è vista come un colpo di mano sostenuto dall’Occidente che, spodestando il presidente Yanukovich, ha sconvolto il delicato equilibrio di un Paese i cui confini furono creati a tavolino dell’ingegneria amministrativa sovietica, mettendo assieme un sudest russofono e russofilo con un ovest che si considera Mitteleuropa. Per Di Rienzo, a Washington il punto di vista di Zbigniew Brzezinski, fautore di un assetto fondato sulla supremazia americana, ha preso il sopravvento sulla visione di Henry Kissinger, secondo cui i cambiamenti dell’ordine mondiale dovrebbero essere introdotti solo con il consenso dei principali attori.
Il punto di vista di Maidan è invece espresso da Kurkov con i suoi Diari ucraini (Keller, pp. 328, euro 16): «un reportage dal cuore della protesta». Kurkov ricorda che il primo della sua famiglia a mettere piede sul suolo ucraino fu suo nonno, soldato dell’Armata Rossa morto nel 1943 combattendo contro i tedeschi per la liberazione di Char’kov, e tuttora li sepolto. «Ha dato la vita per combattere il fascismo e ora io mi sento dare del “fascista” perché sono contrario all’occupazione dell’Ucraina da parte delle truppe di Putin, perché mi sono dichiarato, e continuerò a farlo, contro la corruzione che il fuggiasco presidente Yanukovich ha seminato ovunque nel Paese aiutato dal suo clan, o perché voglio che il Paese in cui vivo sia uno stato di diritto?». Tuttavia il libro non è manicheo. La descrizione picaresca di quel che accade mentre una «tempesta della storia» si scatena, dalla gente che fa i soldi mettendo in vendita un «kit del manifestante» con «tutto ciò che serve a chi vuole rimanere a difendere le proprie idee e opinioni per un tempo prolungato durante la stagione fredda» a una milizia di «Guerrieri di Narnia» cultori del fantasy che scendono in piazza con spade e scudi di legno, non nasconde la presenza dei delinquenti che si mescolano agli oltranzisti del Pravyj sektor per fare vendetta e saccheggi. «La battaglia trasforma i cittadini normali in radicali e un cittadino diventato radicale non può essere considerato normale, né pienamente capace di intendere e di volere».
Ed è appunto la chiave della follia quella della terza testimonianza: «due giovani giornalisti, 40 giorni tra l’orrore dei due fronti. Un viaggio nel cuore della prima guerra civile europea del XXI secolo», annuncia la copertina del libro di Scresini e Giroffi Ucraina La guerra che non c’è (Baldini & Castoldi, pp. 250, euro 16). Quasi all’inizio, l’incontro con un estremista di destra italiano ex di Avanguardia Nazionale che con una runa al collo e il kalashnikov in mano combatte con le milizie ucraina. Quasi alla fine, l’incontro con un estremista di destra italiano ex di Forza Nuova che, col corpo coperto di tatuaggi inneggianti a Mussolini e il kalashnikov in mano, combatte con le milizie russofone. «Una guerra che non c’è, per l’appunto, perché i media occidentali se ne sono quasi subito dimenticati. Una guerra che c’è, purtroppo, perché ogni giorno distrugge, ammazza, brucia, mutila». E in cui, spiegano, se qualcuno dice di averci capito qualcosa, è solo perché non l’ha vista da vicino.
Di Maurizio Stefanini
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