Da La Provincia del 9 dicembre
A un secolo dall’inizio della Prima Guerra mondiale, e alla vigilia dei 100 anni dell’entrata nel conflitto del nostro Paese, il cinema offre una prospettiva critica acutissima. E come un passaggio di testimone: l’ultimo film citato da Giuseppe Ghigi nel suo “Le ceneri del passato-Il cinema racconta la Grande guerra” (edito da Rubbettino) è “I recuperanti” (1969) di Ermanno Olmi il cui recente “torneranno i prati” entra nel novero del migliaio di pellicole che in un secolo hanno «contribuito a costruire il visibile dell’immane tragedia» bellica. Per quanto riguarda il cinema italiano, si collocò subito al fianco degli interventisti, non discostandosi «per decenni dalla linea della costruzione del mito» combattentistico. Bisognò attendere “La grande guerra” (1959) di Mario Monicelli che nella trama della commedia inserisce il ritorno delle truppe dal fronte di Caporetto e allora la banda smette di suonare, le donne non sventolano più i fazzoletti, ma li usano per asciugarsi le lacrime. E nel 1970 Francesco Rosi gira “Uomini contro” che con “Orizzonti di gloria” (1957) di Stanley Kubrick è «il film che maggiormente penetra nelle dinamiche contraddittorie della Grande guerra, svelandone i punti ciechi, rendendoli visibili». Entrambi i film sconteranno – uno relegato dalla Rai in cineteca, l’altro a lungo proibito in Francia – gli effetti di quella censura che in tempo di guerra vigilava sui cinegiornali con tassativi divieti e vincoli in funzione propagandistica. I comandi militari “non vogliono che si mostri la carneficina” e sono proibite “soprattutto le immagini di cadaveri in posa macabra o insepolti, di strutture sanitarie improvvisate e fatiscenti”. Perché nelle narrazioni «si muore sempre integri fisicamente», mentre non si era mai sofferto «fisicamente e a un tale grado» come nella Grande guerra.
Tra i film che il libro prende in particolare considerazione “E Johnny prese il fucile” (1971, un soldato ridotto a tronco vivente), unica regia dello sceneggiatore Dalton Trumbo, arriva sullo schermo dopo il rifiuto di 17 produttori, indicativo della difficoltà di affrontare il tema del corpo martoriato dalla guerra, un tabù da cancellare per «giungere a piena coscienza sociale della violenza bellica».
di Bernardino Marinoni
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