Prof. Livio Zerbini, Lei è autore del libro La forza di Roma antica. Un modello per l’Italia di oggi, edito da Rubbettino. L’antica Roma rappresenta senza dubbio uno dei capitoli più avvincenti della storia universale, anche in ragione del suo straordinario destino: da piccolo villaggio di pastori riuscì a dare vita a un grande impero, il più longevo della Storia, che cambiò il volto del mondo: cosa ci insegna la storia di Roma?
La storia di Roma sin dai suoi albori è storia di inclusione. Quando le prime comunità agricole si aggregarono tra di loro per formare quella che diverrà la città di Roma, nel contempo nacquero e si svilupparono anche i concetti di cittadinanza (in latino civitas) e di cittadino (civis).
Nel processo di romanizzazione dei popoli assoggettati un formidabile strumento di assimilazione e di integrazione fu rappresentato dalla cittadinanza romana, che consentì a tutti quanti di avere il senso di appartenenza a una patria communis, nonché costituì un forte incentivo per coloro che cittadini romani non erano.
La forza propulsiva della cittadinanza romana la si evince chiaramente alla fine del I secolo d.C., quando i Romani furono è il caso di dire culturalmente pronti ad accettare e accogliere un imperatore come Traiano, originario non di Roma o della penisola italica, bensì spagnolo di nascita, a dimostrazione dei grandi passi fatti nella direzione di una riuscita inclusione delle province in quell’organismo unitario e omogeneo che era divenuto l’impero romano.
Ormai non era più importante in quale contesto geografico si era nati, bensì di sentirsi partecipi di una patria comune, quella appunto rappresentata da Roma. Saremmo noi oggi culturalmente pronti ad accogliere, ad esempio, come Presidente della Repubblica un cittadino italiano di nazionalità romena, ovvero la comunità straniera più numerosa in Italia con più di un milione e duecentomila persone?
La forza di integrazione politica e culturale di Roma, diventata per molti secoli caput mundi, è ancor oggi ben visibile. Chi attraversa i territori, le regioni e i Paesi che fecero parte dell’Impero ha innanzitutto una sensazione di uniformità, dal momento che gli edifici più rappresentativi della civiltà romana o le loro vestigia si incontrano ovunque, segni tangibili di un passato glorioso.
L’eredità di Roma, come si è visto, è dunque molto più ampia di quanto comunemente siamo soliti considerare e ha fortemente alimentato e animato il pensiero europeo. L’Europa ha accolto e assimilato l’eredità romana in molti modi diversi e grazie al tramite della civiltà europea sopravvive in molte altre parti del mondo.
Ma quel mondo di valori e di idealità che Roma ha saputo via via costruire e diffondere nel corso della sua storia millenaria può ancora rappresentare un modello, ovviamente con i dovuti distinguo, per l’Italia, per l’Europa e per le generazioni future.
Come Roma divenne, da piccolo villaggio di pastori, un grande impero?
La bussola che guidò Roma nel suo destino glorioso ebbe come punti cardinali dei fattori che si rivelarono poi determinanti, come l’inclusione, la meritocrazia, l’innovazione tecnologica e lo sviluppo delle comunicazioni.
Roma fin dagli albori della sua storia mostrò una grande capacità di accogliere l’“altro da sé”, che non ha eguali – nemmeno nei tempi moderni – nella storia universale: Sabini, Latini, Etruschi, Magnogreci e tanti altri popoli del Mediterraneo furono integrati e le loro civiltà e culture assimilate e per così dire metabolizzate, contribuendo così in maniera significativa, per non dire determinante, al grande destino dell’Urbe.
Certamente la conquista romana fu violenta e invasiva – come peraltro avveniva nell’antichità, ma purtroppo come avviene ancor oggi, se si pensa alla guerra tra Russia e Ucraina – ma a differenza degli altri conquistatori i Romani non si limitarono solamente a imporre con la forza il loro modello di civiltà, bensì con una visione del tutto innovativa e di grande apertura seppero adattarsi alle varie situazioni e alimentarsi delle culture “altre” con cui vennero in contatto e che concorsero poi a inverare e rendere più solida la loro.
La cittadinanza romana, la civitas appunto, aveva pertanto un forte carattere “inclusivo”, poiché costituiva il “cemento” che permetteva a persone di diverse lingue e religioni e dagli usi e costumi anche molto differenti di sentirsi comunque pienamente integrati e partecipi di un unico mondo: quello romano; ma allo stesso tempo rappresentava il “lievito” della crescita e dello sviluppo, in primo luogo economico, di Roma e del suo grande impero.
Essere Britanni, Galli, Greci e Siriani era dunque un mero dato geografico di provenienza: la cosa veramente importante era essere tutti quanti accomunati sotto il nome di Roma.
Se andiamo a vedere il termine “meritocrazia” su di un qualsiasi dizionario della lingua italiana, come ad esempio il “Devoto-Oli”, leggeremo questa definizione: «Il sistema di valutazione e valorizzazione degli individui, basato esclusivamente sul riconoscimento dei meriti da loro acquisiti».
Questa definizione ci fa comprendere, alla luce di quanto detto più sopra, come la meritocrazia fosse uno dei fondamenti che portò Roma a divenire un grande impero, contrariamente a quanto purtroppo avviene spesso oggi in Italia, la cui assenza costituisce un forte ostacolo alla crescita e allo sviluppo del Paese. Se a Roma non ci fosse stata la meritocrazia, non ci sarebbe stato l’Impero romano.
Roma si contraddistingueva inoltre per un grande dinamismo sociale, che non aveva eguali nelle civiltà antiche e anche in quelle successive: lo schiavo per i propri meriti poteva guadagnarsi la libertà e il povero in ragione del proprio lavoro poteva arricchirsi. Ciò rappresentò un forte incentivo per tutti coloro che a Roma, in Italia e in tutte le province dell’Impero volevano migliorare la propria condizione economica e sociale, concorrendo così allo stesso tempo al benessere della collettività.
In ragione di questo giungevano a Roma persone da ogni parte dell’Impero, alla ricerca di maggiori opportunità lavorative e per fare affari e di una migliore qualità di vita. Generalmente queste loro aspettative non andavano deluse, dal momento che le capacità, il lavoro e l’intraprendenza venivano premiate.
I Romani più di ogni altro popolo dell’antichità intervennero decisamente sull’ambiente, sempre però nel pieno rispetto della natura, alla ricerca di un ideale equilibrio. Si pensi in tal senso all’intensa pianificazione territoriale, attraverso una capillare parcellizzazione dei terreni, e alla realizzazione di sistemi di drenaggio e di irrigazione, o comunque di controllo del regime delle acque, al fine di migliorare le potenzialità produttive del suolo.
Per non parlare poi della costruzione di una fitta rete di comunicazioni e di collegamenti tra territorio e città e tra città e agglomerati urbani vicini, con lo scopo di migliorare i rapporti e i traffici commerciali: il tutto nel pieno rispetto della geomorfologia del contesto ambientale.
L’antico detto «tutte le strade portano a Roma» evidenzia bene una delle grandi capacità dei Romani, vale a dire aver dato vita a un capillare e complesso sistema viario, che consentiva di facilitare le comunicazioni e di conseguenza di incentivare gli spostamenti e i commerci.
Nell’antica Roma si viaggiava infatti più di quanto si è soliti pensare, a maggior ragione in un mondo “globalizzato” come l’Impero romano, che andava dalla Britannia all’Africa e dall’Oceano Atlantico al Golfo Persico, in cui oltretutto non vi erano frontiere e passaporti.
Le strade romane costituivano un importante veicolo di civiltà e romanizzazione, nonché l’ossatura vitale e indispensabile per la coesione politica e amministrativa dell’Impero.
Dell’importanza strategica e militare della rete viaria erano ben consapevoli i Romani, come del resto si può evincere dalla stretta correlazione tra l’impianto di nuove vie e la fondazione delle città e proprio per questi motivi la costruzione e la manutenzione delle strade fu sempre oggetto di estrema attenzione da parte del governo centrale, anche nei periodi di crisi e instabilità.
Il sistema viario creato dai Romani andò così gradualmente estendendosi con il progredire delle conquiste. Difatti la rete stradale romana nacque e si sviluppò nell’arco di un millennio, dal V secolo a.C. al V secolo d.C., arrivando a contare in età imperiale un reticolo di oltre 120.000 chilometri di strade.
Le strade romane infatti non solo hanno consentito di mettere in comunicazione regioni e territori lontani, agevolando la mobilità delle persone e facilitando i commerci, ma hanno anche segnato in modo determinante lo sviluppo, anche economico, dell’Europa.
Ad avvalorare questo assunto vi è una recente ricerca scientifica del professor Carl-Johan Dalgaard dell’Università di Copenaghen, che di professione non è uno storico, bensì un economista.
Dalgaard e la sua équipe hanno dedicato alcuni anni per verificare, basandosi su dati oggettivi, se sussiste una corrispondenza tra le strade costruite dai Romani e lo sviluppo dei territori che attraversavano.
Ai fini della ricerca si è pertanto sovrapposta la rete delle strade romane a una serie di indicatori rivelatori ai giorni nostri del benessere, soprattutto economico, come la densità della popolazione, le reti infrastrutturali e l’illuminazione notturna fotografata dai satelliti.
L’elaborazione dei dati ha portato a risultati che ci dovrebbero fare riflettere, perché la ricerca ha confermato che in Europa dove vi è una più significativa densità di strade romane vi è allo stesso tempo un maggior sviluppo economico, a dimostrazione che le scelte operate dai Romani di costruire una fitta e capillare rete viaria ebbero effetti di lunga durata, tanto da far sentire ancor oggi la loro influenza.
In sintesi, si può a buon diritto affermare che l’ingente investimento sul piano infrastrutturale attuato da Roma, a distanza di più di duemila anni, continua a dare i suoi frutti.
In che modo quegli elementi fondamentali che furono le straordinarie leve su cui si basò lo sviluppo e la crescita dell’Impero romano possono oggi rappresentare la chiave di volta per la ripresa, anche economica, dell’Italia e dell’Europa?
L’antica Roma ha rappresentato un’esperienza unica nella Storia. È il racconto di un piccolo villaggio di pastori, divenuto poi una grande città, che allargò progressivamente la sua dominazione sino a governare per diversi secoli su quasi tutto il mondo civilizzato.
Per comprendere pienamente la grandezza di Roma basta semplicemente fare l’elencazione degli odierni Stati nazionali che per un periodo, più o meno lungo, entrarono a far parte dell’Impero romano nel periodo del suo apogeo ossia dopo le grandi conquiste dell’imperatore Traiano (98-117 d.C.): il Portogallo, la Spagna, il Principato di Andorra, la Francia, il Principato di Monaco, il Belgio, la parte meridionale dei Paesi Bassi, l’Inghilterra, il Galles, la Scozia meridionale, il Lussemburgo, le regioni meridionali e occidentali della Germania, la Svizzera, l’Austria, il Liechtenstein, la Slovacchia, l’Ungheria, l’Italia, la Città del Vaticano, San Marino, Malta, la Slovenia, la Croazia, la Bosnia ed Erzegovina, la Serbia, il Montenegro, il Kosovo, l’Albania, la Macedonia del Nord, la Grecia, la Romania, la Bulgaria, la Turchia, Cipro, il Marocco, l’Algeria, la Tunisia, la Libia, l’Egitto, la parte più settentrionale del Sudan (per un breve periodo), l’Israele, la Palestina, il Libano, la Giordania, la Siria, una striscia di territorio dell’Arabia Saudita, l’Iraq e l’Armenia; senza contare poi che i Romani esercitarono una sorta di protettorato sull’Ucraina, sulla Georgia e sull’Azerbaigian: in totale 51 Paesi sui 208 complessivi, vale a dire un quarto di tutti gli Stati del mondo.
La Storia rappresenta l’ineludibile punto di partenza per ripensare il nostro modello di sviluppo e in essa si possono trovare le risposte per superare i momenti di crisi, sempre più frequenti, che la nostra civiltà deve affrontare.
Ma al di là di ciò, l’importanza della storia di Roma non risiede tanto nell’ampiezza delle sue conquiste e nella durata del suo Impero, quanto nel permanere della sua eredità culturale, ancor oggi viva e attuale, che ha contributo con il suo mondo di valori, di idealità e innovazioni, anche tecnologiche, a costruire l’idea di Europa e in tal senso può ancor oggi rappresentare un modello per l’Italia e per l’Europa.
Livio Zerbini è Professore associato di Storia greca e romana all’Università degli Studi di Ferrara