IL PROTAGONISMO DELL’ITALIA
di Antonio Selvatici (*)
La “Nuova Via della Seta” è diventato argomento di accesa discussione politica. Il governo italiano con un anomalo “balzo in avanti” già a fine del 2018 aveva annunciato di volere firmare con la Cina un Memorandum of undestandingper promuovere alcune attività economiche e finanziarie in Italia. E trovare un accordo di massima per quanto riguarda l’ambizioso progetto della “Nuova Via della Seta”.
Non è tanto importante il contenuto dell’accordo (che sembra assai scarno) quanto la decisione politica del Governo italiano di abbracciare le intenzioni di espansione economica e strategica della Cina nel nostro Paese. Sappiamo che l’Europa ora è più guardinga e da mesi sta elaborando politiche di prudente contenimento.
Nulla contro la Cina e la sua politica denominata Going out Strategy, ma il “gioco dell’economia globale” impone l’affermarsi di regole comuni. Il trasferimento di ricchezza e di tecnologia dall’Occidente alla Cina, la politica del Presidente Donald Trump, le ambizioni espansionistiche della Cina e l’affermarsi della Cina in ambiti tecnologici e militari sta ponendo alcuni interrogativi. La politica economica liberista del “laissez faire” si è dimostrata disastrosa e perdente. Ora, con misure giustamente restrittive si cerca di correre ai ripari. I porti sono infrastrutture strategiche e tali vanno considerate. L’Italia prima di lasciarsi ammagliare dai generosi ed abbondanti investimenti infrastrutturali cinesi dovrebbe capire se questi non sono parte di una strategia più ampia.
Per trattare l’argomento riguardante il ruolo del continente europeo nella grande strategia geopolitica di Pechino è necessario trattare alcuni fondamentali elementi che motivano la politica estera “di conquista” cinese, della realizzazione del “Sogno cinese”. Innanzitutto è riduttivo ed errato catalogare solamente come investimenti economici le acquisizioni che i cinesi hanno effettuato, e vorrebbero effettuare, al di fuori dello smisurato confine. È più appropriato inserirli all’interno di un perimetro geopolitico più ampio che comprende anche la strategia militare, la difesa delle rotte marittime per controllare gli approvvigionamenti energetici (la Cina è ancora un paese energivoro non autosufficiente), il controllo del transito delle merci marittime (l’economia cinese si basa sull’export delle merci), la formazione e la conquista di “nodi” strategici finalizzati ad ampliare la sfera d’influenza. Il fabbisogno di tecnologia per le produzioni sofisticate.
Un altro elemento è la centralità del Mediterraneo: la Cina sta investendo anche in alcuni paesi africani che si affacciano sul Mare Nostrum (soprattutto in Egitto e Algeria, quest’ultimo paese ben inserito tra gli obiettivi cinesi). Se si considerano gli investimenti di Pechino in Europa bisogna farlo pensando a come gli stessi si stiano muovendo nel grande continente africano.
Inoltre, bisogna notare come la maggior parte degli investimenti stranieri (anche in infrastrutture) vengano effettuati da aziende pubbliche: sono l’espressione della volontà del Governo cinese che risponde alla forza e all’ideologia del Partito comunista cinese (PCC).
Altro aspetto che caratterizza il modello di “capitalismo autoritario” della Cina è la capacità di riuscire a programmare a medio termine lo sviluppo della nazione. L’Occidente ha perso tale capacità: i programmi di sviluppo economici e sociali sono di breve periodo e spesso seguono gli umori degli elettori. Ciò implica un enorme vantaggio competitivo: la pazienza cinese è stata negli ultimi decenni ben ripagata dalla curva dello sviluppo, non è un caso se oggi la Cina è economicamente la seconda potenza globale. La Belt and Road Initiative, il Made in China 2025 sono importanti progetti principalmente a capitale pubblico di medio periodo che dimostrano come la programmazione sia la concreta espressione della volontà del Paese di volere crescere a tutti i costi e diventare una vera potenza mondiale. Una volontà politica e pubblica di espansione così forte e determinata che la Belt and Road Initiative è stata inserita nella Costituzione della Cina. Quale paese dell’Occidente potrebbe pensare d’inserire nella propria Carta un ambizioso progetto d’espansione globale? Anche alcuni aspetti sociali della Cina influiscono i comportamenti economici. Nel Paese del Dragone vige un patto non scritto tra il potere autoritario e la popolazione che è pronta a rinunciare ad alcune libertà in cambio di un buon livello di sviluppo economico e di miglioramento delle condizioni di vita (con tacito consenso dell’Occidente). Eventuali flessioni dell’economia possono avere effetti sociali. Ed anche per questi motivi che l’economia “deve” crescere, perché è un collante sociale. Ed è anche autoreferenziale: la sopravvivenza del partito comunista cinese. A ciò bisogna aggiungere come la storia recente e passata della Cina abbia formato una forte predisposizione al sentimento del nazionalismo. La denominazione quasi dispregiativa di Cina come periferica “fabbrica del mondo” è superata, ora i cinesi e la Cina vogliono diventare indiscussi protagonisti globali.
La forte personalità del Presidente Xi Jinping e l’autorevolezza raggiunta ben si addicono ad una grande nazione che ora ha deciso di “plasmare un nuovo ordine mondiale che la vede protagonista” (1). E’ sufficiente sfogliare alcuni discorsi del Xi Jinping per comprendere la portata del “grande sogno cinese” (2).
(*) Autore di “La Cina e la Nuova Via della Seta – Progetto per un’invasione globale”, Rubettino, 2018.
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(1) Kevin Rudd, La Cina come potenza revisionista, in AspeniaRivista di Aspen Institute Italia, n° 82, settembre 2018
(2) Xi Jinping, Governare la Cina, Giunti Editore, Firenze, 2016
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