I cannibali di Mao. La nuova Cina alla conquista del mondo, edito da Rubbettino nel 2019, del giornalista italiano Marco Lupis, presenta ai lettori un fotogramma in movimento di un continente, quello asiatico, che si trasforma, passando attraverso le istantanee di una vecchia Polaroid fino alle immagini di una moderna Canon professionale. Marco Lupis, giornalista, fotoreporter e scrittore di rilievo, ha lavorato come corrispondente in Estremo Oriente e in particolare ad Hong Kong, per le più importanti testate giornalistiche italiane. In una sorta di diario di bordo di un viaggio, durato quasi 25 anni, dal 1995 al 2019, Lupis descrive l’Asia come un continente pieno di bellezza e contraddizioni, che egli ha cercato di cogliere, con lo sguardo del giornalista e dell’uomo.
Il Grande Drago cambia così la pelle davanti ai suoi stessi occhi. Il titolo del libro trova una giustificazione storica nelle ricerche dello studioso Jasper Becker, autore dell’opera Hungry Ghosts: Mao’s Secret Famine, del 1996, in cui Becker deduce dalla storia cinese del secondo dopoguerra, la realtà del cannibalismo, legata alla grande carestia provocata dalla politica di industrializzazione forzata, promossa da Mao Tse-Tung. Non è facile raccontare da giornalista e da uomo la storia millenaria di una società complessa come quella cinese, ma l’autore attraverso un linguaggio chiaro ci presenta macro e microstorie di un continente in espansione e cambiamento, spesso così poco conosciuto da noi occidentali. Nel resoconto giornalistico di Lupis, ricostruito anche attraverso testimonianze dirette e interviste esclusive, le squame del Grande Drago cambiano forma e colore, passando dalla Cina di Mao a quella di Xi Jiping, testimoniando una rivoluzione strutturale anche del paesaggio, in cui gli antichi quartieri con le caratteristiche vecchie case a schiera sono sostituiti da enormi grattacieli, metropoli, casinò, centri finanziari; e in cui parte di un patrimonio archeologico inestimabile come la muraglia cinese può essere rasa al suolo per costruire un grande centro commerciale, sacrificando la memoria storica in nome di quella economica.
La Cina raccontata da Lupis non è più la Cina di Mao, bensì la Cina di Deng Xiaoping e di Xi Jiping, che portano avanti l’ideologia di un comunismo atipico che, in nome del principio confuciano «arricchirsi è glorioso», punta su un progresso di modernizzazione hi-tech, sulle biotecnologie e le intelligenze artificiali, non lasciando più spazio ai bisogni del lavoratore cinese, che produce con ritmi alti e salari bassi, senza alcuna tutela sindacale, spesso indossando caschi di protezione dotati di wireless che ne controllano persino la resa lavorativa. Un comunismo, quello cinese, che lascia irrisolti problemi come la costruzione di un efficace sistema pensionistico, il divario tra poveri e ricchi e tra città e campagna. Di fatto, l’ideale di giustizia sociale e di tutela dei diritti del lavoratore, rivendicata dalla vecchia ideologia comunista, resta disattesa. Le priorità dei nuovi leaders del Pcc, il Partito comunista cinese, diventano così l’avvio di una politica economica verso il terzo millennio, iniziata con l’ingresso della Cina nel Wto e l’inaugurazione della nuova Via della Seta. Tutto ciò senza alcuna attenzione per l’ondata di disoccupazione e per gli eventuali danni arrecati alle piccole imprese e ai prodotti locali, come il riso cinese, che perdono in competitività.
Il ritratto che emerge da una delle tante squame del Grande Drago è anche quello di un comunismo totalitario, che Lupis porta in primo piano attraverso specifici eventi e date simbolo. In Cina, infatti, si verificano sistematiche violazioni dei diritti umani, che il giornalista italiano, dando voce ad importanti intellettuali e dissidenti cinesi, quali Harry Wu Hongda, e attraverso la sua diretta testimonianza, intende denunciare e portare all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale.
Nel nostro immaginario collettivo la scena di un giovane sconosciuto, con indosso una camicia bianca e un pantalone scuro, immobile davanti ad alcuni carri armati, ci porta alle vicende di Piazza Tienanmen a Pechino, nel giugno del 1989, quando l’intervento dell’esercito, ordinato da Deng Xiaoping, pose fine alla “primavera di Pechino”. La sommossa popolare di Tienanmen avvenne prima dell’arrivo di Lupis in Cina, ma il giornalista ne parla nel suo libro, per sottolineare come, anche dopo la conclusione della vicenda, decine di cittadini furono giustiziati arbitrariamente. Le testimonianze di Zhang Liang nei Quaderni di Tienanmen rivelano scomode verità sui fatti di quei giorni. Lupis mette a nudo, così, un sistema di governo in cui il potere è nelle mani dei leaders del Pcc, che attraverso un controllo capillare della società e della cultura e per mezzo di sistemi repressivi come le esecuzioni capitali di massa, intende educare il popolo cinese alla sottomissione e all’obbedienza incondizionata. Avviene così che interi libri di storia vengano riscritti, lasciando in bianco le pagine destinate a raccontare la verità della “primavera” di piazza Tienanmen, cancellando con esse anche le aspirazioni liberali di giovani studenti e intellettuali. Ma c’è un’altra vicenda e un’altra data simbolo che ritornano nelle pagine e tra i capitoli de I cannibali di Mao. Il 1° luglio del 1997, Hong Kong, dopo 150 anni di vita sotto il protettorato della Union Jack inglese, viene annessa dalla Cina, dopo la scadenza del contratto con l’Inghilterra. Anche Macao tornerà nelle braccia della madrepatria, questa volta per volontà dei portoghesi.
Hong Kong è il luogo da cui parte l’avventura di Lupis in Asia e rappresenta per l’uomo, oltre che per il giornalista, una dolorosa spina nel fianco. È il luogo dei suoi rifugi, per godere della libertà e degli affetti della famiglia; è il luogo in cui diventa padre per la seconda volta. Essa è il simbolo del suo viaggio professionale e umano in Cina. Il primo chiaro segnale di cambiamento che il giornalista tocca con mano in un viaggio dei ricordi del 2018, sono le insegne luminose dei locali, degli hotel, dei ristoranti, in cui le lettere della lingua inglese sono ormai sostituite dai caratteri del cinese mandarino. Una serie di immagini fotografiche, inserite all’interno del libro, descrivono il nuovo volto di Hong Kong, ormai ribattezzata Xiang Gang. Lupis ci racconta un’altra Tienanmen, in cui le ambizioni democratiche e indipendentiste sono represse nel sangue, dal Presidente-imperatore Xi Jinping.
Dalla lettura del libro emerge quindi un complesso ibrido della Cina contemporanea, un dragone a tre teste, che vede convivere al suo interno ben tre Cine: la Cina di Hong Kong che lotta per la sua libertà, la Cina di Taiwan che non si piega al regime comunista, rivendicando la propria indipendenza e, infine, la silente Cina popolare. Un ibrido in cui innovazione tecnologica, industrializzazione e modernizzazione occidentale convivono con la negazione dei diritti fondamentali dell’uomo, con l’emigrazione e la disoccupazione, con il disagio sociale e la mafia. L’onnivoro capitalismo asiatico neoconfuciano sembra voler imporre una neo-dittatura comunista, un nuovo ordine mondiale, attraverso il potere soffice di un’invasione culturale silente che registra ovunque nel mondo il moltiplicarsi di marchi, moda e tecnologie cinesi. È una Cina tutta da leggere e scoprire quella che emerge dal resoconto di Lupis: un Paese immenso e contraddittorio, il cui più grande punto di forza resta la resilienza del popolo cinese, le cui lotte isolate, necessitano di un’attenzione maggiore da parte dell’Occidente e degli organismi Internazionali. Un libro incredibilmente interessante che «Tiziano avrebbe amato», come scrive Angela Terzani Staude, moglie del compianto Tiziano Terzani, uno dei primi a raccontare e svelare nei suoi viaggi da uomo e da giornalista i misteri e la complessità della Cina, trovando nel lavoro di Lupis, un degno passaggio del testimone.
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