da Conquiste del Lavoro del 22 gennaio
Qualcuno adesso storce il naso quando si parla della Cassa per il Mezzogiorno e del suo strano destino. Eppure, l’idea dell’economista Pasquale Saraceno, che vide la luce nel 1950 per affrontare gli squilibri territoriali e settoriali esistenti e aiutare la rinascita postbellica, consentì al bistrattato Meridione di avvicinarsi economicamente e socialmente al resto dell’Italia. Al punto da godere di credibilità internazionale. Poi arrivarono i problemi, le proroghe, le polemiche, la definitiva chiusura dell’Agensud all’inizio degli anni Novanta. Da quel giorno, le politiche per regioni quali la Campania, la Puglia, la Calabria, la Basilicata e per altre zone rientrarono nelle competenze dei ministeri. La questione meridionale così è rimasta insoluta. Anzi, stretta tra ritardi e pregiudizi, ha assunto una dimensione ancor più drammatica, presentando nuove criticità. C’è chi ha rimpianto quel denigrato “carrozzone”, come è stato più volte definito, dinanzi ai numeri sempre più tristi contenuti nell’ultimo rapporto Svimez, che parlano di crollo del Pil, di emigrazione tornata ai livelli del dopoguerra, di povertà e di disoccupazione sopra il 28%.
Perché? Il libro-ricerca di Amedeo Lepore, professore associato di Storia economica della Seconda Università di Napoli, spiega quanto è avvenuto. “La Casmez – sostiene l’autore -è stata molto di più di una intuizione felice. Un modello per lo sviluppo realizzato grazie a un impianto studiato nei minimi particolari, concordato e promosso anche dalla Banca mondiale”. Quattro lunghi capitoli, con la prefazione del presidente della Svimez, Adriano Giannola, un’introduzione di Giuseppe Di Taranto e, in conclusione, scritti di Riccardo Padovani e Paolo Savona, per approfondire e illustrare i motivi per cui i prestiti internazionali concessi consentirono al Sud di fare un balzo in avanti tra industrializzazione e costruzione di opere, strade, ponti. Tesi supportata dalle tabelle e dai documenti inediti della WB,”disponibili solo dal 2010 perché riservati fino ad allora ai due presidenti dell’Istituto che si avvicendarono in quel periodo, Eugene Robert Black e George David Woods, i quali utilizzarono questo materiale per proporre ai direttori esecutivi i finanziamenti all’Italia”. Quindi “la WB-si legge nella postfazione di Savona -valutava il merito di credito dell’Italia sulla base dell’equivalenza ricardiana, ossia della capacità che il reddito nascente dell’impulso fínanzíato generasse un gettito fiscale che consentisse all’Italia di rimborsare il debito”, ritenendo che “immettere le risorse direttamente al Sud invece che al Nord fosse nell’interesse del Nord stesso, perché se esse fossero state immesse nell’area settentrionale non sarebbero andate al Sud, mentre la domanda che questi interventi generavano si indirizzava anche verso il Nord, facendo beneficiare tutti”. Nel volume è riportata, come scrive Giannola, la “dettagliata ricostruzione dei rapporti che intercorsero tra la International Bank for Reconstruction and Development (IBRD) e le autorità italiane. L’attenzione è alle vicende finanziarie che furono all’origine della Cassa per il Mezzogiorno e l’accompagnarono poi nelle varie fasi delle sue attività: dall’infrastrutturazione funzionale alla attuazione della riforma agraria, alla preindustrializzazione e, dal 1957, alla tanto discussa politica di industrializzazione. Sono dettagliatamente ricostruire le vicende delle molteplici linee di credito concesse, nonché le analisi e le valutazioni a consuntivo dell’evoluzione del Paese Italia, letta alla luce dei progressi conseguiti nel Mezzogiorno”. Un miglioramento dunque c’era stato. “Sì – afferma Lepore- grazie al tentativo riuscito nella prima fase di creare uno strumento per avere una politica di sviluppo non limitata al solo Meridione ma che servisse a favorire una triangolazione di interessi tra il Sud, l’Italia nel suo insieme e gli Stati Uniti d’America. Ciò si è verificato non solo come viene descritto dalla Banca mondiale, che ad ogni erogazione effettuava una analisi scrupolosa della nostra situazione e quindi analizzava anche i concreti interventi che venivano eseguiti con quei prestiti, ma è dimostrato anche dall’andamento generale dell’economia in quel periodo di pieno boom, quando si verificò un progresso generale nel Sud a un ritmo superiore rispetto a quello del Centro-Nord. Proprio per via di questo tasso di crescita è stata l’unica epoca, chiamata appunto della golden age, in cui il Sud è riuscito a ridurre le distanze in modo molto consistente con il resto del Paese”. A proposito di divario, un filosofo-economista come Salvatore Cafiero sosteneva che la Casmez era un organismo insostituibile di sostegno alle politiche per il Mezzogiorno. E forse non è stato l’unico meridionalista a crederci fino in fondo. “La cosa più importante -asserisce Lepore – è avvenuta dopo i primi sette anni dedicati alle infrastrutture a supporto della riforma agraria. La CM sostenne prevalentemente l’industrializzazione e questo fino all’inizio degli anni ’70 funzionò bene. Successivamente, subentrati attori diversi, la situazione si complicò. Le crisi petrolifere e internazionali comportarono un’inversione di strategia che puntava a ristrutturare le industrie del Nord e ad abbandonare a se stesso l’apparato produttivo del Mezzogiorno. Al tempo stesso con la nascita delle Regioni le ingerenze politiche si fecero più forti fino a invadere gli organi di gestione e le scelte della Casmez che perse così il suo carattere tecnocratico”.
Da qui il declino, l’avanzamento della desertificazione industriale, la bocciatura di un altro decreto di proroga che nel 1984 mise il governo nelle condizioni di sopprimere la Cassa, ormai svuotata della sua funzione originaria, e porla in liquidazione. Due anni dopo arriverà la Agensud. Simili gli obiettivi, più breve la durata, fino al 1993. A rimanere ora sono solo le fredde cifre, che parlano di 279.763 miliardi di vecchie lire, circa 140 miliardi di euro, distribuiti allora nel Meridione. Poco? Tanto? Difficile dirlo. Tuttavia sul brusco risveglio l’autore del testo sembra avere pochi dubbi: “La WB aveva messo in guardia l’Italia dall’evitare di far prevalere le pressioni politiche sulle scelte per il Mezzogiorno e dai documenti pubblicati emerge fortemente questa preoccupazione. Infatti fino a quando la Casmez è rimasta un organo tecnico e ha avuto una strategia industriale le cose sono andate per il verso giusto. In seguito è iniziata l’involuzione che ha trascinato le azioni per il Sud in un gorgo portando alla chiusura, nel 1993, dell’intervento straordinario e alla fine di ogni iniziativa a favore del Mezzogiorno”. Intanto il futuro è pieno di incognite e di incertezze. C’è la necessità di rialzarsi, rimettersi in cammino e rilanciare gli investimenti. Con tempi e modi da studiare. “Non vi sono le condizioni per un nuovo intervento com’era impostato il precedente – afferma ancora Lepore – né si può riproporre una struttura identica alla Cassa ma occorrono due cose: anzitutto una strategia nazionale ed europea per il Sud che si ponga il problema del coordinamento delle decisioni, come previsto dall’articolo 119 della Costituzione. Ad esempio, l’istituzione dell’Agenzia per la coesione territoriale può rappresentare questa esigenza purché non divenga preda dell’intermediazione impropria della politica o anche di una burocrazia invasiva e inefficace. Poi ci vorrebbe un’organizzazione con spiccate caratteristiche tecniche e molte competenze. Speriamo che si vada in questa direzione”. Non solo. “Per disegnare il domani c’è bisogno di una forte volontà di riscatto del Sud. È solo a partire da una piena responsabilizzazione dei meridionali che si può costruire un domani di sviluppo – conclude Lepore – e a questo proposito occorre una trasformazione profonda delle istituzioni e una nuova classe dirigente in grado di guardare all’Italia e all’Europa come nuove frontiere di crescita per una terra troppo spesso offesa e maltrattata”.
di Fabio Ranucci
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