Dal Corriere del Mezzogiorno del 5 luglio 2013
«Calabria è una parola nefasta che terrorizza anche a Napoli, vale a dire che terrorizza a Napoli più che altrove. Per parecchi calabrese è sinonimo di brigante». Così scriveva Charles Didier nell’iniziare il suo tour verso le Calabrie nel 1828. Altri tempi, si direbbe, quando l’estremo Sud appariva agli occhi dei viaggiatori stranieri un favoloso, ma anche pericoloso finis terrae. Da anni l’editore Rubbettino allinea aurei libretti dedicati ai viaggi in Calabria.
Ora è la volta di Ugo Piscopo, che rievoca, fra ironia e disincanto una sua lontana incursione al Sud «tra il Natale del 1957 e l’Epifania del 1958», lui irpino (di Pratola Serra), ma «capuotosto» (testa dura) come sono proverbialmente per definizione i veri calabresi (Ugo Piscopo, «Calabria extra e intra moenia», con prefazione di Walter Pedullà). Dunque viaggio di conoscenza, ma anche ricordo di una esperienza giovanile, quando semmai ti faceva compagnia «Gente di Aspromonte» di Corrado Alvaro, in forma di colto e allo stesso tempo drammatico Baedeker.
Piscopo percorre la Calabria («lontana come la luna») quando il miracolo economico è al suo debutto e la tv ha portato nelle case nuove mode e nuove forme di spettacolo (sono anche gli anni, ahimè, delle emigrazioni a Nord e delle prime speculazioni edilizie su campagne e litorali). Un treno scalcinato lo condurrà da Napoli a Crotone. Un treno lentissimo che si ferma «spesso e volentieri anche alle stazioni minori», allo stesso tempo un treno semivuoto, cigolante, antidiluviano, dove il vagone di «terza classe» (cinquanta anni fa era così) ha dure panche «a listelli di legno» e reticelle sfondate. Quello di Piscopo è uno strano viaggio, che nel ricordo si carica oltre che di emozioni, di visioni fugaci come per un sogno. Il mare intravisto dai finestrini ha una «azzurrità trepida», i regolari terrazzamenti collinari si mescolano agli «anfratti selvosi» o ai «colli argillosi e glabri», quali «scenari della preistoria», dovunque borghi che sembrano abbandonati e piazze deserte, ma anche interni amichevoli, come ad Altilia, dove semmai si fa festa pagana per l’uccisione del maiale. Il viaggio di Piscopo ventenne è fatto di incontri: con gli amici calabresi conosciuti all’Università, con le storie prerisorgimentali (i fratelli Bandiera), con le antichità della Magna Grecia, infine con l’aspetto dirompente delle prime realtà industriali che scompaginano l’antico mondo contadino-pastorale (un impianto chimico sul mare, ad esempio). È una società in bilico, come tutto il Mezzogiorno in quegli anni, fra una passato inarrivabile e un futuro che si colora dincertezze e di inquietudini. L’incontro con la Sila è l’incontro con l’Eden («Neve, cielo, luce e alberi componevano un affresco della nostalgia e della purezza»).All’improvviso, al margine del bosco innevato, ecco «le impronte di un canide solitario» e subito dopo «un ringhio contenuto e in certo senso ostile». Il viaggiatore è spaventato e allo stesso tempo affascinato, perché il lupo «è una figura che fa parte del nostro immaginario, agisce sulle nostre struttura fantastiche». Ma l’Eden si trasformerà presto in un piccolo inferno tra le rovine di Locri, dove il guardiano del parco archeologico gli dice che, se vuole, può far suo un prezioso reperto dissotterrato, si tratta solo di mettersi d’accordo sul prezzo! Domani alle lo, presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, si inaugura la mostra «Tradizioni di viaggio in Calabria». Intervengono Mirella Barracco, Caterina Miraglia, Mario Caligiuri, Mauro Giancaspro.
Di Sergio Lambiase
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La Calabria di Piscopo, terra di viaggi lontani