Da Il Quotidiano della Calabria del 7 gennaio
Franco Cimino è un uomo di altri tempi. Percepibile in questa cifra sia dalle nuove generazioni e sia dai suoi coetanei che hanno cognizione che lo stampo si è perso. Un signore, come si diceva una volta. Uno che si muove a suo agio nel campo della comunicazione dove è conosciuto come opinionista del Quotidiano della Calabria. In genere chi scrive con una certa frequenza finisce inevitabilmente per condensare le sue riflessioni in un volume che ha il pregio, a differenza dei fogli volanti e dei ritagli sparsi, di custodire il pensiero che è proprio dell’intellettuale che mantiene fresche le proprie idee. Cimino è arrivato tardi ma è arrivato all’appuntamento col saggio che compendia i suoi frequenti commenti.
I libri appartengono all’autore sino a quando si pensano e si scrivono. Una volta stampati e distribuiti hanno percorsi autonomi. Annota Cimino: «Non so tagliarli i miei articoli semplicemente perché non li rileggo e non li curo. Me ne distacco subito, dedicandogli soltanto la doverosa attenzione alla forma e alla sintassi». Forse a Cimino farà piacere sapere di Indro Montanelli che tirava il pezzo dalla sua Olivetti senza neppure degnarlo di uno sguardo, inviandolo direttamente al bancone del proto. Della serie: “Fa’ quel che devi, accada quel che può”. E Cimino, sul punto, aggiunge: «Per quanto bello o brutto che sia il mio stile scrittorio, le mie riflessioni nascono così, dal bisogno di scavare in profondità dentro un fatto, per cercarne le motivazioni più vere e per trarre da esso una maggiore spinta alla mia sensibilità personale e una più forte motivazione al mio impegno sociale». In questo caso l’autore aveva un dovere in più, forse l’unico obbligo verso quel soggetto ignoto che si chiama lettore. O, per dirla con Manzoni, “i miei 25 lettori”. Scrivere perché così va la vita dei narratori, ma soprattutto Franco Cimino lo doveva a una persona cara che non c’è più ma che rimane il faro della sua vita insieme alla bella famiglia che lo circonda di affetto. Francesca e Ludovica, le dolci figliole. Egli arriva alla scrittura in ritardo rispetto alle potenzialità inespresse sino a una certa età adulta. Si vede che è la costante della sua vita raggiungere certi traguardi alla loro maturazione. Cimino è un uomo politico totale. Noiosamente totale agli occhi di chi disprezza la politica. Ma la sua amabilità- da non confondersi con il perbenismo di maniera – lo rende credibile. Ed è una lodevole eccezione. Oggi la credibilità dei partiti è scesa al 5,1 %. Il politico totalizzante che è in lui diventa orfano della Dc quando scoppia Tangentopoli e il partito, che è parte invadente della sua vita, cessa di esistere nelle forme conosciute. A quel punto, non potendo più fare comizi, non potendo più frequentare con l’assiduità cui era abituato le sezioni e le assisi di partito, avviluppato dall’afasia, si mette a scrivere. Un cambio alla pari? Un saldo neutro? No. Non so come lui la pensi sul punto. Ma il cambio è un guadagno netto, anche se la politica totalizzante si trasferisce dalla parola alla penna, senza, però, cambiare registro. E allora dov’è il guadagno? La scrittura non ha obblighi di riti e liturgie particolari come invece ce l’ha la politica politicante, anche se monda di tutti i peccati originali. La sua scrittura è fluente e gradevole. Appare in qualche tratto ridondante quando il politico afferra lo scrittore. Nel 1994, quando Zaccagnini congeda la Dc dall’agonizzante prima Repubblica, Cimino cessa di essere un uomo destinato a una carriera politica alta e diventa scrittore. In realtà non è andata proprio così, perché egli, anche dopo quella stagione, ha continuato a seguire la politica militante e fiancheggiatrice in quel contenitore che si chiama Udc. Un surrogato di partito, ma che comunque appariva all’interessato la dimensione più prossima al suo sentire. Partito che il Nostro ha odiato e amato; che non gli ha dato nulla, anzi l’ha ostacolato ritenendolo troppo talentuoso per assecondarlo. Per un soffio non è diventato sindaco di Catanzaro. E così è passato da una delusione a un’altra. Una storia parallela a quella vissuta da Marco Follini. Una fortuna, a mio parere, per l’interessato pur nel rispetto dei suoi tormenti di uomo mutilato nelle sue speranze e nei suoi desideri. Lui forse non sarà d’accordo, ma le sue corde erano predisposte per suonare per altra musica.
E questo saggio ne è la testimonianza. Il titolo del libro, “L’Utopia della politica (Rubbettino, 250 pagine, prefazione del direttore Matteo Cosenza), declina la sua visione dello stare dentro la società pulsante accompagnandola di attenzioni e con riflessioni puntuali. In fondo la politica cos’è se non prendersi cura della complessità della vita, selezionare i bisogni, fornire priorità alle urgenze, ascoltare la gente, dare una prospettiva, fare sintesi tra le varie opzioni, offrire soluzioni. Il tutto – per quanto riguarda il suo vissuto – dentro una cornice cristiana. Dentro gli insegnamenti della dottrina sociale della chiesa. Cimino è un’utopista? Sicuramente è un idealista. Egli chiama l’utopia “passione”. Rovesciando Machiavelli (Il Principe): “E molti si sono immaginati repubbli- che e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero; perché egli è tanto discosto da come si vive a come si dovrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si dovrebbe fare, impara più tosto la ruina che la preservazione sua”. Confessa l’autore: «La politica è passione, è bene che si lega ad altro bene, è individuo che diventa persona, un io che diventa noi, senza perdere nulla di sé. È persona e noi, che insieme coltivano il sogno e lo cercano e si battono, senza soste, per raggiungerlo. Altri la chiamano utopia, in fondo è solo la politica che diviene: passione, aspirazione, ideale, progetto, governo, democrazia, speranza che si realizza. Per tutti gli uomini della terra» . Il volume contiene 80 pezzi, ossia 80 commenti pubblicati a caldo; cioè senza il calcolo o la furbizia di far passare qualche giorno per sedimentare meglio il suo pensiero. Anche questa è politica praticante, stavo per dire militante, scrivere di getto quando il fatto è sul tappeto, magari esangue. Qua è la stoffa, o se volete l’intuizione, che mette alla prova il columnist affermato. Sono capitoli brevi che sul giornale appaiono lunghi, parlano prevalentemente di politica e di politica legata alla sociologia, all’antropologia, alla costumanza, alla tradizione, alla cultura. Ultima dea. Cimino, s’indigna sovente e viviseziona le ragioni del sussulto, sempre cerando di capire e far capire le ragioni che generano i fatti.
di Bruno Gemelli
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