da L’Unione Sarda dell’8 Luglio
Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, un capitolo del libro “Banche, cittadini e imprese” di Antonio Patuelli (editore Rubettino, costo 9 euro 128 pagine), ex parlamentare, sottosegretario ed ex numero uno del Partito liberale italiano, attuale presidente dell’Associazione bancaria italiana. Il capitolo è intitolato: “Per una costituzione economica europea”.
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Ma per uscire da questa grave crisi occorre fare ancora di più: necessita innanzitutto aver chiaro che l’Europa non può prosperare se non risolve le sue fragilità politiche e istituzionali che non riguardano soltanto l’area periferica dell’Euro, ma anche paesi di rilievo come la Francia e l’Inghilterra e il complesso dell’Unione Europea. La costruzione dell’Unione economica è rallentata da anni, mentre l’Unione politica è bloccata da quando non è mai entrato in vigore il Trattato per una “Costituzione per l’Europa” di una decina di anni fa. L’Europa deve reagire con ben maggiore lungimiranza, compattezza e innovazione se vuole davvero evitare la marginalizzazione, una progressiva conflittualità e disgregazione, con possibili rigurgiti neonazionalistici, come se fossero state dimenticate le disgrazie delle guerre mondiali e delle dittature novecentesche. Sono anacronistiche le nostalgie delle vecchie monete nazionali che non hanno certo evitato, all’Italia e ad altri, le gravi crisi del Novecento. L’Euro non ha effetti miracolistici, ma non deve essere nemmeno demonizzato. Il costo dell’Euro è stato già subìto con l’impatto iniziale del cambio delle vecchie monete, col calo del potere d’acquisto, con la fine delle svalutazioni progressive che, però, erano costose per lavoratori e risparmiatori. Ma l’Euro ha anche salvato per anni i conti pubblici italiani, avendo ridotto i tassi d’interesse altissimi, per decenni, per la Lira. Infatti, il solo avvicinarsi all’Euro ha prodotto la riduzione dei tassi a livelli sconosciuti per la Repubblica, con il ridimensionamento del costo del mantenimento del debito pubblico. Se venisse abbandonata la moneta comune, i tassi si impennerebbero e diverrebbe definitivamente soffocante il debito pubblico italiano che, nei mesi più difficili, quando si allontanavano gli investitori internazionali, è stato coraggiosamente e doverosamente sottoscritto innanzitutto da famiglie, banche e assicurazioni italiane. La solidità e la vitalità di una moneta necessita di disciplina e di solidarietà. Occorre procedere con decisione e speditezza verso l’Unione Bancaria, in tutte le sue componenti: un sistema di vigilanza unico presso la BCE, un meccanismo di risoluzione delle crisi con un’autorità europea, un sistema unico di garanzia dei depositi. Questi sono gli elementi fondanti di un sistema europeo realmente integrato, in cui tutti i partecipanti siano soggetti alle stesse regole e alle stesse prassi di vigilanza, senza svantaggi competitivi per alcuno. Occorre uscire dalle incertezze strategiche europee e spingere non solo per l’Unione bancaria, ma più complessivamente per una verifica dell’applicazione ventennale degli accordi di Maastricht e seguenti, con la costruzione di una vera “Costituzione economica europea” che rafforzi competenze e responsabilità di risoluzione delle crisi e per la realizzazione di migliori condizioni di sviluppo economico, sociale e civile. I Trattati vigenti hanno bisogno di una verifica perchè non sono sufficienti a far uscire l’Europa dalla crisi. Recentissime esperienze italiane hanno evidenziato anche taluni limiti dei Trattati vigenti, come per i debiti delle Pubbliche Amministrazioni verso le imprese che non vengono conteggiati nei parametri europei, con la conseguenza che gli Stati trasgressori hanno persino una doppia contabilità, una per l’Europa e un’altra con i debiti verso le imprese nazionali. Appare necessario, quindi, che gli Stati nazionali abbiano dei precisi e trasparenti bilanci consolidati come le imprese. Per uscire dalla crisi, l’Italia non si può estraniare dall’Europa, né pensare che l’Europa debba risolvere i nostri problemi nazionali. Serve una “Costituzione economica europea” e ciò non deve essere un alibi per cullarci sulle anomalie italiane che riguardano innanzitutto la Repubblica e che debbono essere corrette con forte determinazione: innanzitutto l’insopportabile debito pubblico, l’eccessiva burocratizzazione, i limiti di una democrazia che è lontana dai grandi e sperimentati modelli occidentali. Non bisogna rassegnarsi all’inevitabilità della crescita del debito pubblico: in una fase di bassi tassi occorre invertire la tendenza e iniziare a ridurre il debito pubblico senza patrimomali o misure da economia di guerra, ma con accurate privatizzazioni delle proprietà mobiliari e immobiliari dello Stato e degli Enti locali che troppo spesso sono anche holding societarie ed immobiliari. La Repubblica deve essere promotrice di libertà e responsabilità e garante dei diritti civili, sociali ed ambientali e deve privatizzare i cespiti che sono incongrui con queste finalità costituzionali. Occorre una politica economica orientata ai settori produttivi, con uno spirito d’emergenza che necessita di tempi più rapidi nelle decisioni delle Istituzioni.
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