Tre esperti si confrontano su un unico tema: l’intelligence economica. Sono Giuseppe Gagliano, presidente del Cestudec(Centro studi strategici Carlo De Cristoforis) e collaboratore di numerose istituzioni culturali italiane e internazionali, Laris Gaiser, studioso di geopolitica di livello internazionale (è senior fellow presso l’Università della Georgia, membro dell’Itstime presso l’Università Cattolica di Milano e docente di geopolitica e geoeconomia presso l’Accademia Diplomatica di Vienna) e Mario Caligiuri, docente presso l’Università della Calabria e direttore del Master in Intelligence promosso nel 2007 con l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
Il risultato di quest’impegno a tre mani è Intelligence economica e guerra dell’informazione. Le riflessioni teoriche francesi e le prospettive italiane (Rubbettino, Soveria Mannelli, 2016) un volume breve ma denso, costituito da tre saggi: Guerra economica e intelligence nella riflessione di Christian Harbulot (Gagliano), Il ruolo dell’intelligence economica in Italia (Gaiser) e L’intelligence economica e il grande gioco delle ombre (Caligiuri), che riassume e approfondisce i concetti chiave del libro.
Prima di proseguire oltre, è opportuno rispondere a una domanda: a che scopo tentare la sintesi tra una materia ostica(l’economia) e una disciplina sfuggente (l’intelligence) per declinare tutto in un ambito poco studiato (la guerra dell’informazione)? Una prima risposta la fornisce il generale Carlo Jean nella sua Introduzione a Intelligence economica: «L’importanza dell’economia si è accresciuta con la fine dell’“ordine militare”, conseguente al fatto che la forza costa sempre più e rende sempre meno e che le guerre non scoppiano più fra gli Stati forti, ma fra quelli deboli e all’interno di essi; alla presenza delle armi nucleari, che producono distruzioni incompatibili rispetto a qualsiasi razionale obiettivo politico, per cui è improbabile il ricorso deliberato all’uso della forza fra potenze nucleari; all’informatizzazione e globalizzazione dell’economia». Sembra quasi la versione aggiornata del celebre inciso di Carl Schmitt, secondo cui «l’economia è diventata qualcosa di politico».
Ma non è il caso di approfondire il tema del (presunto) declino della politica e della conseguente acquisizione di un ruolo politico dei potentati economici, su cui il libro – e in particolare il saggio conclusivo di Caligiuri – offre più di uno spunto di impietosa riflessione: vale la pena notare che la riflessione del generale Jean risulta parziale perché si sofferma sull’intelligence intesa come sistema e apparato operativo. I tre autori, invece, vanno oltre e adottano un punto di vista globale e più profondo: per loro (e in particolare per il prof. dell’Unical) l’intelligence è un metodo di conoscenza applicabile anche fuori dai suoi luoghi tradizionali (servizi segreti e apparati di sicurezza). Perciò è potenzialmente utile a molti soggetti: oltre agli enti pubblici e politici, alle aziende e ai cittadini. Al punto che Intelligence economica si inquadra in un progetto accademico piuttosto ambizioso: rendere l’intelligence una disciplina economica autonoma da insegnare nelle università e nelle scuole.
Al riguardo, occorre sottolineare che questo punto di vista ribalta completamente il rapporto tra intelligence apparato e intelligence metodo: non è più questo che viene classificato in base a quello ma è il primo a esistere in funzione del secondo. In altre parole, l’intelligence non sarebbe più l’insieme dei metodi empirici praticati dai servizi segreti, ma i servizi sarebbero tali solo nella misura in cui applichino questi metodi. Non è uno spostamento banale di prospettiva né l’ennesima discussione sull’eterno dilemma dell’uovo e della gallina. Tutt’altro, tant’è che questa prospettiva dà la chiave di lettura unitaria ai tre saggi che compongono Intelligence economica.
Infatti, la comparazione tra l’esperienza francese, esaminata da Gagliano e l’attuale situazione italiana, analizzata da Gaiser, muove da due presupposti. Il primo: le esperienze francesi ed italiane sono quelle che si somigliano di più. Il secondo: l’esperienza francese, grazie all’opera pionieristica svolta da Christian Harbulot sin dalla fine degli anni ’80, ha iniziato a mettere a punto delle metodologie di intelligence economica che potrebbero fornire all’Italia un valido paradigma. Certo, occorrerebbero allo scopo una classe politica ed economica all’altezza e meno minate dalla corruzione di quelle di cui dispone ora il nostro Paese.
Ma, tralasciando questo aspetto che resta non secondario, occorre concentrarsi sull’elaborazione intellettuale di Harbulot, che per primo in Europa ha intuito il disordine globale del post guerra fredda e ha elaborato una dottrina compiuta della guerra economica e, soprattutto, delle sue armi peculiari: le informazioni. Non a caso, la Francia non è stata scossa dagli scandali politici nella stessa misura dell’Italia, dove la circolarità tra mondo dell’informazione (mediatica e commerciale ma non solo) e i potentati economici si è rivelata micidiale per gli equilibri politici delle istituzioni e per la tenuta del sistema economico. Certo, spiega Gaiser, anche i servizi segreti italiani hanno fatto passi da gigante nell’ultimo decennio, come provano le relazioni al Parlamento sulla sicurezza economica, in cui risultano impressionanti le segnalazioni sulle infiltrazioni mafiose nel sistema economico. Ma le riforme vere sono ancora da fare. E lo stesso Gaiser ne elabora una, basata sull’interazione con le Camere di Commercio e sulla creazione di strutture di raccordo a livello ministeriale, che non è il caso di approfondire in questa sede.
Semmai, è necessario soffermarsi sulle dinamiche geopolitiche da cui possono sorgere i conflitti economici combattuti con le armi dell’informazione (o, se si preferisce, della controinformazione e della disinformazione sistematiche). L’assunto fondamentale di Intelligence economica risulta al riguardo sorprendente e un po’ eccentrico rispetto ai dogmi del neoliberismo: proprio la fine della guerra fredda ha rimesso in gioco lo Stato e, più in generale, le organizzazioni politiche, che competono tra loro e con altri soggetti, ad esempio le multinazionali, nel settore finanziario. Ammonisce Caligiuri: non esistono nemici, ma soprattutto concorrenti e si può essere benissimo concorrenti, anche sleali, pure – e, spesso, soprattutto – nei confronti degli alleati. Lo Stato, in questa prospettiva, ha il compito essenziale di creare e tutelare la sicurezza dei mercati e delle proprie aziende.
La particolarità dell’intelligence economica è che svolge gran parte del proprio gioco nel settore dell’informazione (con una proporzione inversa all’intelligence tradizionale, che vi ricorre soprattutto per condizionarla). Sbaglia, spiegano i tre autori, chi crede che in questo settore valgano i metodi spionistici tramandati da una letteratura più che corposa: la partita si gioca soprattutto sulle fonti aperte: i media tradizionali e il flusso di notizie disponibili a tutti grazie alla rete. L’abilità degli 007 finanziari sta nel distinguere e selezionare tra l’immensa quantità di informazioni disponibili quelle valide e veritiere. Un compito importantissimo soprattutto oggi che, grazie al mix micidiale dell’incultura diffusa tra il pubblico e le accresciute possibilità di diffondere bufale e polpette avvelenate, il rischio della disinformazione (e del relativo condizionamento dei mercati) è elevatissimo.
Solo una piccola nota sul ruolo dei servizi segreti cinesi, addestrati a carpire brevetti e know how altrui per sopperire alla povertà di materie prime. Che questa sia l’attitudine della Cina non ci piove. Però, a proposito di risorse minerarie, è altrettanto vero che il colosso asiatico è il principale produttore al mondo delle terre rare, cioè dei superconduttori utilizzati nell’industria informatica. Questo dato meriterebbe più di un approfondimento nell’era dell’informazione digitale…
L’intelligence è quindi una disciplina che, applicata al settore economico, assume un’importanza vitale perché diventa il baluardo della sicurezza.
Non è poco.
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