Da Il Giornale dell’1 novembre
Carl Menger è il capostipite della cosiddetta scuola austriaca. Dai suoi lavori e dalle sue intuizioni di fine ‘800 sono arrivati i nostri Mises, Hayek e persino Murray Rothbard. Se per i grandi personaggi dell’economia valesse lo stesso riconoscimento storico che discende per il grande inventore, Menger dovrebbe essere il pensatore più importante dell’economia moderna. E non esageriamo. Dobbiamo per sempre essergli debitori dell’approccio individualistico, di un metodo di indagine delle scienze sociali che da quel momento in poi ha diviso in due il modo di pensare occidentale. Per Menger e per la scuola austriaca che si abbeverò ai suoi scritti, «i fenomeni appartenenti alla sfera economica non possono essere compresi se non analizzando ciò che li determina e cioè le scelte degli individui». È l’individualismo metodologico, che traccia il vero discrimine tra liberalismo e socialismo. E non solo nel campo economico.
Menger fu anche un appassionato studioso dell’origine del denaro. Forse è una parte della sua ricerca meno nota. A ciò avrà certamente contribuito la circostanza, molto poco non intenzionale, che ha visto il suo libro non tradotto in inglese. Milton Friedman, grande studioso della moneta, e non austriaco nei suoi precetti monetaristi, si può dire che non avesse praticamente idea di cosa Menger sostenesse in materia. In Denaro di Carl Menger, un bel libro edito da Rubbettino, una lucida introduzione di Lorenzo Infantino ci ricorda una delle grandi e coerentemente «austriache» intuizioni del nostro: «Oggi forse implicitamente, si suppone che il danaro sia un’istituzione dello Stato, una creazione della legge, al contrario nella sua origine è un’istituzione sociale e non statale». Menger, a differenza dei monetaristi, non ha una grande considerazione, proprio per questi motivi, delle banche centrali intese come istituzioni. Egli sapeva che «un economista che volesse calcolare la domanda nazionale di tenaglie, martelli o altri attrezzi, partendo dalla durata del loro impiego e dalla maggiore o minore rapidità con cui vengono adoperati, salvo dimenticare che essi ci garantiscono un’utilità per il fatto che esistono in ogni casa e sono disponibili in ogni occasione perderebbe solo tempo». Si tratta di una critica non solo alla teoria quantitativa della domanda di moneta, ma soprattutto un’eccezione filosofica (che poi Hayek chiamerà costruttivismo) alla pretesa da parte di un decisore illuminato di dominare un fenomeno individuale, o meglio un fenomeno che riguarda milioni, miliardi di interazioni, rabbie, invidie, altruismi straordinariamente umani. E cioè quelli che riguardano la conservazione oltre che l’uso del denaro. Non è una mera critica agli eccessi econometrici e matematici degli economisti, è il frutto coerente dell’individualismo metodologico, da cui siamo partiti.
di Nicola Porro
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