L’esercito del terrore detesta la bellezza (L'Unità)

di Carmine Castoro, del 26 Luglio 2016

Nicolò Costa

Turismo e terrorismo jihadista

I valori liberali della vita mobile e i nuovi nemici della società aperta

Da L’Unità del 22 luglio

L’agghiacciante carneficina sulla Promenade di Nizza conferma alcuni punti inaggirabili e inquietanti in merito alla “crociata” ingaggiata dall’esercito del Daesh. Stendendo un velo pietoso sul solito barile di melassa televisiva in cui i voyeuristici media all news hanno immerso l’evento, ne restano tre. Primo. Il terrorismo di matrice fondamentalista ormai è chip and cheap, ovvero reso sempre più inafferrabile dalla dimensione “dark” (ma anche social) della Rete e basato ormai sull’uso di materiali a basso costo economico e strategico: basta un camion-frigo di svariate tonnellate lanciato a tutta velocità contro una folla assiepata per la Festa della Bastiglia e l’esito nefasto è di gran lunga superiore al lancio di un ordigno difficile da acquistare o da assemblare.
Secondo. Per un massacro serve ormai solo la volontà molecolare di un occasionale affiliato di superare ogni tabù (la propria morte, quella degli altri, l’infanticidio, l’innocenza delle vittime), intinta nell’acido dell’odio etnico e di una furia vendicatrice più o meno resa incandescente dal millenarismo di una lettura coranica “purificatrice” e dichiaratamente integralista.
Terzo. I luoghi degli attentati sterminatori sono da tempo quasi esclusivamente legati a momenti di socialità calda e condivisa, di relax e mobilità, là dove si riuniscono villeggianti e sightseer, famiglie spensierate e passeggiatori inermi: musei, spiagge, bistrot, music-hall come il Bataclan, aeroporti come a Bruxelles e Istanbul, ristoranti come a Dacca, viali centrali come a Baghdad dopo il Ramadan pochi giorni fa.
FANATISMO
All’incrocio di questi ultimi due elementi soprattutto, si colloca Turismo e terrorismo jihadista (Rubbettino, pagg. 122, euro 12) del sociologo Nicolò Costa, testo che, seppur offra nuovi strumenti di analisi e giudizio dello scenario del fanatismo musulmano, pure però ricorre a una frusta gabbia semantica inquadrabile come “scontro di civiltà”, con punte di pregiudizi e riduzionismi metodologici che spiazzano. Per Costa, giustamente, il sistema degli OTT, ospitalità turismo e tempo creativo, rappresenta non un “fattore”, ma un “intensificatore” di pace fra i popoli, poiché il business dell’intrattenimento, l’economia del consumo e della convivialità innescata dagli imprenditori del piacere e dai “professionisti della bellezza urbana” allarg un’arena relazionale fatta di conoscenza, scambi, curiosità interculturali, superamento delle barriere discriminatorie, compartecipazioni affettive e progettuali su piccola e larga scala. E’ come se alberghi, villaggi-vacanza, luoghi dove si mangia, si beve, si danza, si assiste a performance artistiche, si ammirano monumenti e preziosità pittoriche e architettoniche fossero i punti salienti (e resilienti) di una topofilia: cartografia del benessere trasversale che, sprigiona energie, libera da impacci dogmatici, profana il sacro arcaico e apre lo sguardo al nuovo
TOPOFOBIA
Esattamente patrimonio ideale e interpersonale che le stragi ed blitz dei kamikaze dell’Isis mutano in topofobia: panico, repulsione, disaffiliazione da certe città, interruzione dei flussi informativi e di mobilitazione umana verso le terre contaminate dal mostro della morte improvvisa pianificata da occulti boia. Le seduzioni della società postindustriale, il gettar ponti, insomma, in termini di shopping o di skyline, di riti di socializzazione o di spettacolo e biodiversità, sarebbero, secondo Costa, motore virtuale di una ri-territorializzazione molto materiale, corporale quasi, di valori e “legami laschi”, spinta verso un eudemonismo collettivo che fa a meno di leader spirituali e linee guida, dunque non uno strumento repressivo o di controllo, ma immunitario in senso felice e liberale. Bella vita e buona società come forme aggreganti e spurgo del profetismo apocalittico dei sedicenti califfi e dei loro folli adepti. Ottimo target. Se non fosse che Costa colloca tutto questo in un framework disperatamente manicheo, in un dualismo protervo e talvolta risibile fra noi e loro, gli, araldi della tolleranza competitiva dell’Occidente e i “neo-barbari”, precipizio di un Islam che si fida più dei perversi predicatori che delle delizie di un resort con sauna e piscina. Per cui, da un lato, c’è il capitalismo cognitivo-esperienziale figlio primogenito, frutto prelibato dell’illuminismo cosmopolita, pronto a “continuarne il progetto di emancipazione culturale dall’oscurantismo religioso e contribuire a una spiritualità razionale”, fertile trigonometria di legalità, mercato e società civile, portatore di innovazione e mai di disprezzo, di opportunità e mai di tirannia, di “vite mobili” e mai di fissità antropologiche sovrascritte da un Verbo rivelato. Dall’altro, i grandi invidiatori, i frustrati, quelli che subiscono “l’infelicità per i beni posseduti dagli occidentali” – infelicità “dovuta a mancanza di desideri per la vita materiale” -, e che sprofonderebbero tutto questo malanimo in una sublimazione distruttiva di coloro che godono senza pudore di quegli stessi beni da cui essi sono tentati. Il nichilismo dei combattenti di Allah sarebbe solo un modo per compensare quella leggerezza edonistica non proibizionistica di cui intere etnie all’altro capo del globo non sono in possesso per una sorta di caparbia resistenza alla modernità.
PERICOLOSO DUALISMO
Senza applicare filtri economico-politici, letture più complesse e stratificate, senza analisi geopolitiche specifiche e sfiorando solo la delicata issue della manipolazione mediatica di guerre e soprusi, Costa ci fa arrampicare sullo sdrucciolevole crinale di un Eden tecno-gioioso dove l’opulenza si autodetermina senza costrizioni né corporazioni, che attende solo di essere staccata dal ramo dell’Uguaglianza come un pomo maturo, e al cui apice ci sarebbe quel “ceto medio-alto” di circa 200 milioni di individui il “volto amichevole” (sic!) del cui potere sarebbe composto di produttività, universalismo, regole rigide, ricchezza polimorfa, morali a maglia larga, tutti ugualmente irrinunciabili.
PARADISI
Perché una cospicua parte della rimanente popolazione mondiale non riesca ad adeguarsi a questi standard, mastichi rabbia, si addestri per uccidere europei e americani e sguazzi nel sangue di una supposta atavica arretratezza, non è dato sapere. Ma non sarà, allora, che il paradiso delle vergini promesso ai martiri dalle madrase deviate sia, né più né meno, simmetricamente identico al “paradiso” della moda e delle bevande sportive, delle banche e della pubblicità, dove troppo spesso non esistono storia e verità ma solo comode narrazioni, non colpe e punizioni ma solo calcolo e furbizie, e dove qualcuno faccia dell’esclusione la larria più affilata per farsi largo e sopravvivere? Fra Teocrazia e Matrix, si salvi chi può, magari con un bel biglietto low cost interplanetario.

di Carmine Castoro

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