Dal Nuovo Corriere Nazionale del 18 luglio
Una lettura originalissima, acuta, culturalmente e teologicamente solida, utile per comprendere le mafie e l’importanza di un’azione di contrasto che faccia leva sulla promozione umana, alla cui base ci sia quell’amore che è il cuore del messaggio cristiano. Una lettura davvero entusiasmante quella del libro “L’enigma della zizzania – Il metodo Puglisi di fronte alle mafie” (Rubbettino, 14 euro) scritto da monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, presidente della Conferenza episcopale della Calabria, postulatore nella Causa di canonizzazione di don Pino Puglisi, il parroco di San Gaetano, nel quartiere Brancaccio a Palermo, dove venne ucciso il 15 settembre 1993 da Cosa nostra, nel giorno del suo 56esimo compleanno. Un libro, peraltro, che sfata alcuni luoghi comuni sulla definizione di Pino Puglisi come parroco anti-mafia, dimostrando la profondità cristianadi questa definizione, giusta in sé ma che corre il rischio di essere interpretata in modo superficiale.
Già, perché il movente dell’assassinio di don Pino Puglisi fu la sua attività pastorale, portata avanti con il sorriso e con l’esempio di un’apertura al cuore degli uomini, di tutti gli uomini. Monsignor Bertolone, nel suo libro, indaga e presenta “il metodo Puglisi di fronte alle mafie”, trovando in esso il cuore profondo dell’enigma della famosa parola del Vangelo di Matteo sulla zizzania. E traendo il messaggio cristiano, sublime e sconcertante insieme, della parabola. Come noto, quando i servi andarono dal padrone del campo per comunicargli che, insieme al grano, stava venendo su anche la zizzania, il padrone impedì loro di raccoglierla: “No – rispose – perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio”.
Così la zizzania, nel mondo, cresce insieme al buon seme e occorre la pazienza attiva di attendere il momento in cui arriverà il momento di sradicarla. Don Puglisi è stato l’emblema del buon seme che vive insieme alla zizzania. Ma non era né un poliziotto né un giudice, il suo compito andava al di là del contrasto immediato alla mala pianta. Il suo compito, e il compito dei cristiani, era ed è pastorale. È essere il buon seme che, con le braccia aperte e il sorriso della fede, vive insieme alla zizzania e determina anche in essa cambiamenti. Perché l’amore è rivoluzionario, contagia, può modificare le cose (colui che sparò a don Puglisi si è poi pentito ed è diventato collaboratore di giustizia). Le mafie, alla lunga, temono più chi parla al cuore dell’uomo, chi riaccende il senso profondo dell’umanità e della dignità di sé, chi agisce per la promozione umana che le forze dell’ordine. Perché quell’azione toglie l’acqua alla mala pianta, ne rallenta l’espansione, la fa alla lunga appassire. Crescono inseme, la zizzania e il seme di grano, e la pazienza per i frutti dell’amore, della testimonianza e della speranza possono essere lunghi. Ma sono i migliori, sono l’essenza del cambiamento dei cuori e delle menti che determina, se ben testimoniato (e per testimoniarlo ci vuole la sobrietà che aveva don Puglisi) quel cambiamento carsico dei cuori e delle condizioni mentali e ambientali.
Un lavoro illuminante, quello dell’arcivescovo Bertolone, alla luce di un’impianto teologico, culturale ed esperienziale forte. Un lavoro che fa toccare con mano la speranza, il sorriso del cristianesimo. Una lettura da cui si esce più umani e che toglie molte croste dagli occhi. Perché permette di vedere, finalmente, offrendoci il succo profondo di una parabola e di una storia umana toccata dal divino.
di Giuseppe Castellin
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