Da La Gazzetta del Mezzogiorno del 16 marzo
I sociologi lo definiscono ” analfabetismo funzionale”. E’ un nuovo tipo di ignoranza che definisce un individuo capace di leggere un testo ma non di comprenderlo per l’incapacità di padroneggiare sentimenti, sensazioni e stati d’animo in maniera adeguata. L’analfabeta funzionale è quello che può passare ore a leggere qualsiasi scritto con un grado di comprensione molto basso. Lui, non ha una decente rappresentazione dei meccanismi della società e del suo funzionamento perché semplicemente è estraneo culturalmente alle sue finalità. Paradossalmente, tutto questo perverso meccanismo si avvera proprio quando l’educazione essenziale deve essere finalizzata a realizzare quello che definiamo la “knowledge society”, ovvero il regno della conoscenza e della scienza. Nel nostro Paese ad esempio, i riferimenti principali, i modelli da seguire sono quelli ostili alla condivisione del ruolo della tecnologia e della scienza a favore di un indistinto mondo bucolico che è il frutto della sola fantasia popolare. La scienza non viene mai apprezzata per le sue conquiste, ma solo per i suoi problemi e per le sue inevitabili incertezze. L’Italia è entrata nel mondo dell’economia postindustriale con un bagaglio culturale profondamente ostile alla modernità. Quest’ultima non potrebbe nemmeno essere concepita senza i suoi pilastri essenziali: il mercato, la scienza e la tecnica. E in ognuno di questi settori, siamo pericolosamente indietro rispetto agli altri Paesi, dal momento che non siamo ancora riusciti a liberarci delle scorie del pensiero marxista e fascista che hanno vigorosamente combattuto contro l’individualismo, l’economia di mercato e la modernità. Le teorie dell’irrazionalismo e della lotta all’illuminismo si sono infatti saldate con il nuovo paternalismo sociale nella fede religiosa della bontà della natura e della sua innocenza che deve fronteggiare il progresso tecnico e scientifico, bollato come una nuova forma barbara di involuzione sociale. Di qui l’incomprensione dei problemi, delle angosce, delle sfide che la Storia ci impone e degli inevitabili sforzi umani ed errori che commettiamo nella nostra ricerca di un mondo migliore. La società armonica e senza conflitti nello stato beato della stasi perpetua, che assomiglia alla pace dei cimiteri, è il modello che si intende raggiungere.
MITOLOGIA DEL PASSATO
Pochi riflettono che nel mitico passato bucolico “non vi poteva essere vita che grazie ai privilegi e nei privilegi” come ha scritto J. Fourastiè. E tutti quelli che predicano la decrescita come l’ideale prossimo, dimenticano che proprio per Marx il capitalismo era un potente motore di progresso materiale perché la “borghesia ha creato ben altre meraviglie che le piramidi d’Egitto, gli acquedotti romani e le cattedrali gotiche”, ribadendo la necessità di un incremento della produzione “perché senza di esso si genererebbe soltanto la miseria e quindi con il bisogno ricomincerebbe il conflitto per il necessario e ritornerebbe la vecchia merda”. Rimarcare solo gli aspetti negativi del mercato, della scienza e della tecnologia, non dovrebbe farci dimenticare tutti i vantaggi materiali che ci hanno offerto, dall’aumento della vita media, alla caduta della mortalità infantile, alla vittoria su talune epidemie e carestie e agli indubitabili agi del vivere moderno. La rivolta popolare contro la modernità, contro tutto quello che si è creato nel tempo per costruire un mondo nuovo, con una versione salvifica ed escatologica della politica che garantirebbe la prosperità e la felicità a tutti, non è che la ripetizione dell’odio antico verso le democrazie liberali ed i valori individuali. Si va ripetendo infatti in forme nuove, il conflitto che risale alla rivoluzione francese ed alla differenza fra Sparta ed Atene. Il progetto giacobino intendeva infatti in nome della “Virtù” annientare la società civile ed distruggere l’individualismo. Così come a Sparta lo spirito comunitario primeggiava contro lo spirito individuale e commerciale diffuso ad Atene. Per dirla con Popper il conflitto è insomma la ripetizione dello scontro fra la società aperta e quella chiusa. Per quest’ultima la “tribù è tutto e l’individuo è nulla”, perché i suoi membri vivono la società nella tradizione collettivistica, nel culto feticista della tradizione, nel Mythos piuttosto che nel Logos , ovvero nella conservazione piuttosto che nel mutamento. La società aperta richiede al contrario un “politeismo dei valori”, una presenza di conflitti e di diverse soluzioni con il virus della discussione critica e dell’assenza di verità intangibili. In questo contesto è solo la coscienza individuale il sommo giudice delle decisioni, non il volere dello Stato o delle sue maggioranze. Di conseguenza, nelle decisioni finali dell’etica e della responsabilità, nemmeno la scienza ha autorità per la semplice ragione che la morale non può essere dedotta dalle teorie scientifiche come molti pretendono. Argomenti, questi, che possono essere approfonditi con la lettura dell’ottimo libro di Luciano Pellicani “L’occidente ed i suoi nemici” ed. Rubettino. La responsabilità del futuro è quindi sempre nelle nostre mani e nelle nostre coscienze con tutti i suoi rischi e i suoi dubbi insieme alla influenza delle nostre idee. Come ha scritto infatti Romain Rolland “l’umanità che si massacra non oserebbe farlo per i suoi soli interessi. Degli interessi non si vanta, ma si vanta delle sue idee, che sono mille volte più micidiali”.
di Vito Spada
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