Cibo e sesso: una correlazione molto più viva di quanto l’appartenenza a due diverse sfere della vita comune possa far sembrare. Una corrispondenza che trova pieno sfogo nell’ultimo romanzo di Giuseppina Torregrossa dal titolo L’assaggiatrice, edito da Rubbettino.
Anciluzza è stata abbandonata dal marito Gaetano, scomparso un giorno per mano di qualcuno o per propria decisione; forse una storia di femmine, forse qualche licenza edilizia concessa a chi non doveva. Siamo in Sicilia, e queste cose succedono.
“Bedda matri, che malanova!”
Anciluzza cade nel dramma, ampliato dall’incertezza sulla sorte del marito; fatto sta che la donna resta “arraggiata e sola” con due bambine da crescere. Deve inventarsi una nuova vita, cominciare tutto daccapo.
E la donna riparte da quello che sa fare meglio: cucinare.
Si trasferisce nel borgo marinaro di Strafalcello, dove il padre ha un vecchio magazzino, e apre un negozio di specialità siciliane.
Con l’avvio della nuova attività la protagonista/eroina subisce un radicale cambiamento. Disorientata dalla scomparsa del marito al quale è sempre rimasta fedele, decide di smetterla con quella pudicizia che le è stata tramandata dalla madre e imposta dal posto in cui vive – ché le donne devono tenere gli occhi bassi e accettare la vita sessuale a uso e consumo degli uomini – e di abbandonarsi alla passione repressa dal logorio della vita coniugale.
Stregata inizialmente da Hamed, un giovane uomo di colore, appetitoso quanto pieno di mistero, la “vedova bianca” inizia a scoprire una pulsione sessuale incontrollabile, a ricevere uomini e donne, alternando la passione per la cucina a quella sempre più urgente per il sesso. Vuole assaggiare tutto della vita.
“Quando ho un uomo che mi guarda, mi aggiro nella cucina come su un palcoscenico, i miei gesti sono calcolati, rallentati; ogni movimento è un invito, una promessa; non parlo, le parole rappresentano un ostacolo. Lascio che il corpo si abbandoni all’arte culinaria […] Sono con lui, su di lui, sotto di lui, vicino, senza aver fatto nessun passo, ma solo grazie al cibo, un ponte teso tra me e lui.”
La Sicilia più nascosta e antica, lo scenario in cui la storia si svolge, non può certo essere solamente il luogo cui un libro deve forzatamente chiedere la partecipazione, ma è un personaggio vivo della narrazione della scrittrice: le tradizioni e i profumi, oltre ai sapori della cucina e della terra, danno al romanzo un tocco cui non si può restare indifferenti.
Ogni capitolo del romanzo è arricchito da una ricetta di Anciluzza: le cotognette, le cassatelle alla ricotta, il biancomangiare al latte di mandorle, il pane cunzatu, la pignoccata e altre leccornie tipiche della cucina siciliana.
La scrittura di Giuseppina Torregrossa è gustosa – e con tutto il cibo che accompagna il romanzo non potrebbe che essere questo l’aggettivo più pregnante –, scorrevolissima e con grandi influenze del dialetto siciliano, alla maniera di Andrea Camilleri.
Un romanzo che appassiona e sconcerta, che divide in due il pubblico di lettori tra chi sostiene Anciluzza e chi, invece, se ne allontana; L’assaggiatrice può essere annoverato nel romanzo di uno speciale sottogenere erotico-culinario tutto da assaporare.
Altre Rassegne
- recensionilibri.org 2019.03.29
L’assaggiatrice
di Antonio Pagliuso