L’odio amore per il padre e le radici italiane. La guerra contro Hollywood. L’autore di Chiedi alla povere in una nuova biografia. Struggente.
Oggetto in Italia e in Francia di un vero e proprio culto, negli Stati Uniti John Fante (1909-1983) stenta ancora oggi a trovare una collocazione adeguata all’interno della narrativa del Novecento – benché sia stato proprio un grande autore americano come Bukowski a recuperarlo dall’oblio e a sancirne la grandezza – e viene tutt’al più studiato come esempio di letteratura dell’immigrazione o come esponente del romanzo losangelino. Classificato e imbrigliato, dunque: un effetto paradossale, se si pensa alla libertà espressiva, alla refrattarietà alle mode e agli schemi dominanti di racconto, al furibondo vitalismo che segnano il suo intero percorso di scrittore e che gli hanno consentito di travalicare la sua epoca, trasformandosi in un classico.
Sulla commovente immagine dello scrittore quasi in punto di morte, cieco e con entrambe le gambe amputate a causa del diabete, che decide di conge- darsi dalla vita dettando alla moglie Joyce un’ultima storia e resuscitando il suo alter ego letterario, Arturo Bandini, si apre Non chiamarmi bastardo, io sono John Fante (Rubbettino), la biografia dello spagnolo Eduardo Margaretto, che viene ad aggiungersi a quella, storica, di Stephen Cooper, purtroppo fuori stampa e irreperibile in Italia.
Frutto di una passione ventennale, il libro di Margaretto sceglie di concentrarsi su due aspetti centrali della vita e della poetica fantiane: il dualismo tra un disperato desiderio di integrazione nella società americana e il persistente, rabbioso attaccamento alle proprie origini e tradizioni, di cui il rapporto di amore-odio con il padre è la perfetta controparte, e la lunga guerra con Hollywood, al contempo indispensabile fonte di sostenta mento e gigantesco tritacarne in grado di soffocare nei propri meccanismi ogni slancio creativo. Meno trattati sono i rapporti di Fante con il contesto letterario americano, che si tratti dei maestri del modernismo o della letteratura proletaria e di protesta degli anni Trenta. In compenso viene dato spazio all’importante riflessione che sull’autore è stata sviluppata in Italia e che ha nel festival Il Dio di mio padre, che si tiene ogni anno a Torricella Peligna, la sua punta di diamante. Sono proprio le considerazioni di studiosi e scrittori italiani, da Trevi a Veronesi a Durante, a rappresentare il vero valore aggiunto di questa biografia.
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