Da Avvenire del 4 marzo
Giovanni Botta, docente nel Conservatorio di Torino, visiting professor in Università giapponesi, autore di diverse opere di e su Marcel e Maritain, ha scovato nell’Archivio della Sacher Foundation di Basilea e nell’Archivio Maritain di Kolbsheim, alcune lettere di Stravinsky e di Maritain che illuminano i rapporti di ammirazione e di amicizia tra il musicista e il filosofo. Ne è venuto un libro interessantissimo, intitolato semplicemente Jacques Maritain e Igor Stravinsky (Rubbettino, Soveria Mannelli 2014, pp. 182, euro 16), prefato da Piero Viotto, maritenologo principe.
Maritain e Stravinsky si incontrarono nel 1926, tramite Jean Cocteau, lo scrittore convertito da Maritain nel 1925. Il rispetto e l’amicizia tra Cocteau e Maritain non vennero mai meno, anche se lo scrittore ben presto ritornò al disordine morale della sua conclamata omosessualità. Stravinsky era reduce da una profonda crisi religiosa che gli aveva fatto riscoprire la fede ortodossa in cui era nato. In una lettera a Sergej Djagilev, il leggendario impresario dei Ballet russes con cui Igor aveva allestito L’uccello di fuoco (1910), Petruska (1912) e la Sacre du Printemps (1913), il musicista invoca l’oblio sulle sue antiche “trasgressioni” e purtroppo sembra sconfessare anche quelle straordinarie opere che segnarono un tornante nella storia della danza e della musica. Più tardi, nell’Autobiografia del 1936, Stravinsky giungerà a criticare le coreografie del sommo Nijinsky (che al tempo aveva strenuamente difeso), forse perché accentrarono l’interesse del pubblico e dei critici, distogliendolo dalla musica.
Maritain aveva già pubblicato Arte e scolastica (1919) che conteneva un passaggio piuttosto severo contro Stravinsky, che sarà emendato nella nuova edizione del 1927. In quel testo Maritain riscopriva la bellezza come trascendentale dell’essere, tomisticamente risultante dalla sinergia di Proportio, Claritas, Integritas. Probabilmente Stravinsky ne era venuto a conoscenza tramite l’amico Arthur Lourié, musicista russo come lui esule a Parigi, e se ne entusiasmò. Le lettere pubblicate da Botta, che vanno dal 1926 al 1939 non entrano nel merito di posizioni teoriche, ma testimoniano una grande consuetudine amicale, in cui molta parte ha, naturalmente, Raissa Maritain, con gli abituali frequentatori del salotto di Meudon, fra cui lo scrittore svizzero Charles-Ferdinand Ramuz, con il quale Stravinsky aveva composto nel 1918 l’Historie du Soldat.
Incoraggiato da Maritain e dal cattolico Lourié, che nel 1934 musicherà brani della Summa Theologiae scelti da Raissa, Stravinsky entrerà nella fase “neoclassica”, salvo poi, negli ultimi anni riscoprire perfino la dodecafonia del criticatissimo (da lui e da Maritain) Schiinberg. Di fatto, egli è tuttora ricordato soprattutto per le opere d’avanguardia del primo Novecento. Stravinsky morirà a 89 anni nel 1971, a NewYork. Suo figlio Théodore, cattolico, ricorda che presso il suo letto, con le icone russe, c’erano una foto di Santa Teresa di Lisieux e un’altra “molto grande” di Padre Pio. Di carattere collerico, Stravinsky ruppe l’amicizia con Lourié quando quest’ultimo disapprovò il matrimonio del musicista, rimasto vedovo, con l’attrice Vera de Bosset, con cui, peraltro, pare che Lourié avesse avuto un’amicizia non platonica quand’erano in Russia. Anche l’amicizia con i Maritain fece perdere le tracce; alcuni indizi indicano però che non venne mai meno. Non sono documentate lettere dopo il 1939, ma ormai il telefono era diventato di uso comune. Stravinsky volle essere sepolto a Venezia, accanto alla tomba di Djagilev, morto in miseria. Le spese del funerale e della tomba del grande impresario furono sostenute con discrezione da Coco Chanel.
di Cesare Cavalleri
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