Istituto di Studi Politici “S.Pio V”. Teoria pura del diritto e democrazia (Repubblica.it)

di Redazione, del 10 Maggio 2023

Due giorni di convegno e seminario di studi con i saluti istituzionali della Presidente della Consulta Silvana Sciarra in occasione della prima presentazione nazionale della traduzione italiana dell’opera omnia del giurista Hans Kelsen

“Questa pubblicazione costituisce un momento storico fondamentale non solo per gli studiosi di diritto ma per tutto il panorama culturale del nostro Paese. Non si può non rilevare come l’opera di Hans Kelsen e in particolare la sua dottrina pura del diritto venga, proprio nel suo mancato a-sociologismo, a costruire una vera e propria teoria sociologica delle istituzioni giuridiche come ebbe a notare in più occasioni Renato Treves, padre della sociologia del diritto in Italia. L’intento di Kelsen è quello di elaborare una teoria pura, in quanto depurata dalle scorie della morale e della sociologia e fondata sull’analisi morfologica delle norme che compongono il diritto; da ciò anche il nome di teoria normativistica. In quest’ottica il diritto è formato da un  insieme di norme che si dispongono a mo’ di piramide, il cui vertice è costituito da una norma fondamentale (Gründnorm) legislativa rispetto alle altre che da essa discendono e che sono esecutive rispetto a essa.  In questa prospettiva appare fondamentale il rapporto validità/applicazione della norma intesa questa come prodotto intellettuale che nel suo formalismo non presuppone necessariamente un rapporto con la morale, secondo la classica impostazione del positivismo giuridico, da cui deriva anche la possibilità di una critica alle ipostasi del giusnaturalismo”, afferma Paolo de Nardis, presidente dell’Istituto di Studi Politici “S.Pio V”.

“In verità le traduzioni italiane di Kelsen non mancano, sin dagli anni Trenta del secolo scorso, grazie ad uno dei miei maestri, Renato Treves, e poi agli impulsi in questa direzione di Norberto Bobbio. Pubblichiamo ora però le opere complete ed è questo il dato fondamentale, seguendo l’edizione tedesca ma con l’obiettivo ‘politico’ di offrire al giurista italiano le ragioni e le occasioni per un ripensamento del diritto su basi meno incerte. Il diritto non sono soltanto le sentenze della Corte costituzionale o delle altre magistrature. Da Cicerone in poi il diritto richiama quella recta ratio che è certamente la ragione, oggi la ragione laica, ma anche quelle esigenze di razionalità logica e scientifica cui Kelsen cercò, da maestro, di offrire delle risposte, a mio avviso valide ancora oggi”. Così Agostino Carrino, Professore Emerito di Diritto costituzionale e curatore delle Opere di Hans Kelsen, la cui traduzione per il pubblico italiano è stata promossa dall’Istituto di Studi Politici “S.Pio V” e dall’Istituto di Studi Giuridici Irti di Sapienza Università di Roma per  Rubbettino editore.

“Pubblicando la traduzione italiana dell’opera di Hans Kelsen del 1911 sulla Dottrina dello Stato, l’Istituto di studi politici “S. Pio V” avvia la composizione di un quadro nel quale il grande giurista austriaco indaga l’azione della società di fronte all’azione statale. Nel pensiero di Kelsen emerge la convinzione che l’azione legislativa, generando la norma, riconduca il dinamismo sociale all’attività regolatrice dello Stato”, afferma Giuseppe Acocella, Professore Emerito di Filosofia del diritto e organizzatore del convegno.

Siamo in un’epoca storica complessa, reduci da una violenta pandemia e con l’Europa flagellata dalla guerra in Ucraina. Sostiene Kelsen che il soggettivismo e il relativismo conoscitivo cui si ispira la tesi del primato della sovranità statale conducono non solo a una logica di “pura potenza” nei rapporti internazionali ma, ben oltre, alla negazione del diritto e della possibilità di una scienza giuridica.

Al contrario, la pace internazionale si può garantire solo attraverso il diritto internazionale, considerando le relazioni sociali come relazioni giuridiche. Carrino spiega la contemporaneità di questo autore nella comprensione del nostro presente: “Per la verità lo stesso Kelsen era ben consapevole dei limiti del diritto internazionale, un ordinamento giuridico ancora in fieri, che avrebbe potuto assurgere a vero e proprio diritto solo quando si fosse dotato di organi giurisdizionali realmente in grado di emanare sentenze imparziali idonee ad essere applicate con sanzioni. Questa condizione è ancora lungi dall’essere realizzata; le Nazioni Unite sono un organismo dedito più alla proclamazione astratta di diritti che alla tutela, per esempio, di una duratura pace tra i popoli, di cui oggi parla solo Papa Francesco; così quegli organi giudiziari come, per esempio, la Corte penale internazionale, della quale – cosa che non sempre viene sottolineata – non fanno parte gli Stati Uniti, la Cina e la Russia. Il problema è che il diritto è oggettivamente in crisi e qualcuno parla anche di morte del diritto. Forse per questo oggi siamo tutti preoccupati per il futuro, che non appare certo roseo”.

In effetti, per un verso Kelsen associa il primato del diritto internazionale a un’ ideologia pacifista e antimperialista che intende opporsi alla logica di potenza delle moderne concezioni individualistico-statali e relativistiche. Tuttavia lo fa richiamandosi a nozioni, come quelle di imperium romanum e di civitas maxima, che sembra difficile associare a ideali antimperialisti e pacifisti e che, per di più, possono apparire storicamente superate dopo il tramonto della respublica christiana, la fine dell’Impero medievale e l’affermazione, a partire dalla pace di Westfalia, del moderno sistema pluralistico degli Stati sovrani. Oltre a ciò, Kelsen avanza la proposta conclusiva di una “rivoluzione della coscienza culturale” in senso globalistico e cosmopolitico; un vero e proprio programma di politica del diritto che propugna un’evoluzione della comunità giuridica internazionale dalla sua condizione “primitiva”, imposta dal dogma della sovranità statale, ad una organizzazione globale dell’umanità: in essa dovranno convergere e integrarsi, sotto l’egida del diritto, la morale, l’economia e la politica. Si tratta di un programma che ripropone nel ventesimo secolo una dottrina illuministica e giusnaturalistica risalente all’Europa del settecento.  Carrino lo spiega così: ” Kelsen si formò in Austria durante gli anni di Francesco Giuseppe, quando l’Impero austro-ungarico era ancora una realtà importante, benché in crisi. Una delle relazioni al Convegno organizzato dall’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” a Roma, nei giorni 18 e 19 maggio, sarà tenuta da Clemens Jabloner, già Presidente del Consiglio di Stato austriaco e Ministro della giustizia, proprio sulle caratteristiche specificamente austriache della teoria del diritto di Kelsen. Attribuisco molta importanza a questa relazione, avendo io stesso da molto tempo nei miei scritti sottolineato questo aspetto. L’Impero austro-ungarico era un’istituzione cui solo vagamente l’Unione europea può assomigliare e il suo crollo (lo diceva già Giuseppe Prezzolini) resta a mio avviso una delle sciagure più pesanti subite dalla civiltà europea. La forma giuridica, il diritto, teneva insieme realtà sociali diverse e spesso contrapposte: pensi che l’inno nazionale veniva cantato in 13 diverse lingue. Eppure l’Austria è stato il primo vero Stato di diritto in Europa, con una corte quasi costituzionale prima che proprio Kelsen, nel 1920, la introducesse nella nuova costituzione repubblicana. Prima che all’Impero (in effetti Kelsen scrisse la sua prima monografia su Dante e la sua concezione della monarchia universale) o alla civitas maxima illuministica bisogna guardare all’esperienza giuridica dell’Austria imperiale per capire la teoria pura del diritto. Per questo Kelsen non fu un positivista grezzo, ma un positivista critico e giustamente si parla di diritto naturale illuministico, che è presente in Kelsen perché era una realtà anche della cultura politica della Vienna felix tra Otto e Novecento, la Vienna dei Freud, Klimt, Schiele, Mahler, Schnitzler, Musil e tanti altri, tra cui appunto anche Hans Kelsen. Uno spirito illuministico, vorrei aggiungere, che se inteso nel modo giusto è ciò che ci manca ancora oggi”.